Una settimana da Dio
Riso sciapo (magari fosse amaro)
di Adriano Ercolani

 
  Bruce almighty, Usa, 2003
di Tom Shadyac, con Jim Carrey, Jennifer Aniston, Morgan Freeman.


Ormai il discorso intrapreso da Jim Carrey nel voler condurre la sua carriera di star sembra chiaro; dopo un film più personale e “rischioso” (il che vuol dire autoriale) il comico sceglie sempre di tornare nel porto sicuro della commedia ridanciana adatta al grande pubblico, in cui può sfogare a proprio piacimento le doti istrioniche che ne hanno – giustamente - decretato il successo personale. Dopo lo struggente ma economicamente fallimentare Man on the moon (id., 1999) di Milos Forman – in assoluto secondo noi la sua miglior interpretazione -, Carrey ha sfornato i due successi planetari di Io, me e Irene (Me, myself and Irene, 2000) dei fratelli Farrelly e Il Grinch (How the Grinch stole the Christmas, 2000) di Ron Howard; dopo il disastro del pur affascinante ed anacronistico The Majestic (id., 2001) di Frank Darabont, ecco che lo scaltro Jim torna in una commedia dall’idea di base semplice semplice, ma adatta in tutto e per tutto a sbancare i botteghini di mezzo mondo (partendo, ovviamente, da quello americano). Date ad un povero, disgraziato brav’uomo la possibilità di essere potente come Dio per qualche giorno, e vedrete come si comporterà; se poi ha la faccia di gomma come il nostro eroe comico, e la predisposizione a scherzi e piccole rivincite sulle proprie frustrazioni personali, ecco che avrete il film. Una settimana da Dio si regge in piedi su queste flebili premesse, e finche nel primo tempo si limita ad un susseguirsi di gags padroneggiate a meraviglia da Carrey, la pellicola regge pure; quando però nella seconda parte arriva la solita storielle romantica ed il solito messaggio positivo e “politically correct”, ecco che il film crolla tremendamente, fino ad arrivare ad annoiare lo spettatore. Per fortuna del retorico regista Tom Shadyac (ricordate il pessimo Patch Adams, id., 1999?) e dei troppo furbi sceneggiatori c’è però sempre e comunque Jim Carrey, che ormai è caratterista troppo bravo e consumato, e tiene in piedi la bracca a forza di simpatia e sorrisi a trentadue denti. Jennifer Aniston in confronto a lui sembra una zitella irrancidita (ci perdoni la categoria delle ancora non maritate…). Dunque Una settimana da Dio è un film che sinceramente non ci sentiremmo di consigliare ai nostri lettori, in quanto è un’opera talmente furbetta (o talmente ingenua, ma ne dubitiamo…) da irritare lo spettatore; ci viene subito da domandarci: possibile che ad Hollywood si limitino a rivoltare la solita frittata in maniera tanto smaccata e trita? Poi immediatamente ci tornano alla mente l’ovvietà e la melensaggine delle commedie di successo di questa stagione cinematografica: Two weeks notice (id., 2002), Un amore a 5 stelle (Maid in Manhattan, 2002), Come farsi lasciare in 10 giorni (How to lose a guy in 10 days, 2003) e l’imminente Terapia d’urto (Anger management, 2003), e pensiamo che la risposta non può che essere si. A questo punto, ripensarci bene, se questa è la qualità che il genere offre adesso, il film di Carrey forse non è poi così male…almeno poi lui è sempre simpatico!

P.S.: Sapete quali sono i tre migliori incassi del botteghino italiano della stagione? Natale sul Nilo, Pinocchio e La leggenda di Al, John e Jack. Ce ne siamo ricordati dopo aver scritto questo pezzo: ci scusiamo con i lettori per aver osato muovere critica allo stato della commedia americana senza aver buttato prima un occhio a quella di casa nostra…