Triplo gioco
Il ‘buon ladrone’ redime Jordan
di Giuliano Tomassacci

 
  the Good Thief, Canada/Francia/G.Bretagna/Irlanda, 2002
di Neil Jordan, con Nick Nolte, Tcheky Karyo, Ralph Fiennes, Said Taghmaoui


Freeze-frame sul volto stanco e segnato di un uomo che arranca per le strade di Nizza, trasportato e sopraffatto dalla vita. Freeze-frame su di un corpo turbato dall’alcool, stravolto dalla cocaina, appesantito dai troppi anni di carcere. Fermo immagine sull’espressione disillusa eppure ancora onesta e rassicurante, sullo sguardo vissuto ma ancora in grado di riflettere il balenio elettrizzante della sfida, l’emozione salutare del rimettersi in gioco annullando i vecchi rimpianti e sbarrando la strada ai nuovi, l’indomabile sensazione di puntare forte, almeno una volta, su se stessi. Costa Azzurra, vividi diurni si alternano a notturni sfuocati e coloriti: li attraversa Bob Montagnet/Montana (Nick Nolte), il copro, il volto e l’espressione in questione. Dagli Stati Uniti alla Francia, da un penitenziario all’altro, da una corsa di cavalli alla dose giornaliera in un locale, fino all’incontro con la conturbante Anne (Nutsa Kukhianidze), giovane emigrata ucraina da strappare alla prostituzione che sa parlare al suo animo più di quanto il piccolo gruppetto di sbornia abbia mai fatto o il circolo tossicodipendenti abbia mai consigliato. Impossibilitato nel ricambiare il sentimento della sfortunata ragazza, Bob, salvatala dalla strada e accoltala nel suo appartamento, non può comunque resistere all’influente ascendente che Anne e la sua storia personale hanno sui di lui. E’ una circostanza catalizzante, che spinge il ‘buon ladrone’ a indirizzare stavolta il suo dono taumaturgico su di se, scegliendo, per cominciare, al bivio delle sue dipendenze quella per l’arte. Ma a Bob non basta costringersi a letto tre giorni per depurarsi dalla droga o ripiegare sul ‘latte liscio’ per evitare l’alcool, la redenzione è assai più profonda e lo riguarda soprattutto per ciò che è veramente, e Bob altro non è che un ladro. Organizza quindi, con i soci fidati al seguito, un colpo a trabocchetto con relative complicazioni al casinò di Montecarlo. Ma il riscatto autentico si cerca da soli, al massimo di fronte al croupier e accanto ad un bella donna, seduti al tavolo da gioco.
E’ un ruggito di estetica contemporanea l’ultima opera di Neil Jordan. Essenziale ma non superficiale, glamour ma mai modaiolo, confezionato con stile ma non leccato, Triplo Gioco rende giustizia e onore al suo autore. Giustizia per il finalmente risollevato interesse nei confronti di un cineasta anomalo, abile nel traslocare da un genere all’altro ma non altrettanto nell’assicurare sempre esiti importanti (come quelli raggiunti negli ultimi anni per The Butcher Boy e Fine di una Storia), e onore per il coraggio e la valenza dei risultati con cui il regista irlandese si è presentato di fronte al remake di Bob le Flambeur (1955) di Melville. Spostato il centro d’interesse da Deauville alla Costa Azzurra, Jordan si occupa personalmente della sceneggiatura - eccezionale nella resa totale degli elementi base del genere e nel compendio delle dinamiche narrative tipiche (si veda la dissertazione sul ruolo poliziotto/ladro di Bob in macchina con l’amico Roger), risintonizzando e aggiornando gli ambienti e le tematiche dell’originale melvilliano alla contemporaneità di un hard-boiled positivo, forse più vicino alla prima maniera di Mona Lisa (1986) che alle utilime produzioni, splendidamente sostenuto dalla messa in scena e dal cast. La navigata collaborazione con il direttore della fotografia Chris Menges garantisce al regista una cifra stilistica fresca e attraente, in grado di circondare sinuosamente i personaggi (tra i tanti momenti notevoli, si ricorda il montaggio alternato tra il dialogo di Anna con il suo ‘protettore’ per le strade e le prove generali del colpo nei sotterranei di Montecarlo), riassumere atmosfere ed ossessioni con poche ma essenziali pennellate (la disintossicazione forzata di Bob), raffinando uno sguardo - non dimentico della scuola anni’ 70 e particolarmente sensibile a quella cassavetesiana ( i ripetuti fermi in macchina, la variazione di velocità ) - talmente appropriato da regalare allo spettatore la sensazione di una brezza serale e l’odore di nicotina. Altrettanto responsabile della nobile fattura del lungometraggio, l’intero cast artistico, guidato da un Nick Nolte in gran forma e perfettamente diluito nella parte. Apprezzabile l’esordio della Kukhianidze, e di sicuro valore e gran coloritura i camei di Ralph Fiennes ed Emir Kusturica, quest’ultimo impegnato nell’eccentrica interpretazione di un esperto informatico. La sofisticatezza musicale di Elliot Goldenthal - giunto alla quinta collaborazione con Jordan - infine arricchisce con misura la narrazione, confermando il talento del compositore nel fondersi con rara conformità al materiale di repertorio senza per questo perdere d’autonomia.

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