Torque – Circuiti di fuoco
The fast and the forward
di Ludovico Cosmo

 
  Torque, Usa, 2004
di Joseph Kahn, con Martin Henderson, Ice Cube, Monet Mazur, Matt Schulze


Nel mondo c’è spazio per tutti ma in quello del cinema ce n’è di più.
Per niente geloso custode dei suoi valori, e con un invidiabile livello di sopportazione, il cinema acconsente alle più libere manipolazioni e rimasticazioni dei suoi precetti basilari con il rischio calcolato di assistere spesso ad una vera e propria rivoluzione corredata di sterminio estetico.
Un mondo così tollerante fa sì che anche operazioni avvilenti come Torque assumano la precisa identità di merce artistica distribuibile anche al di fuori di un ‘circuito di gioco’; e un prodotto che sarebbe più compatibile all’interno di sfavillanti sale da gioco o più onestamente fruibile per mezzo dello schermo di una playstation, riesce invece a violare la sacralità del buio di una sala cinematografica.
Moralismo cinefilo a parte, Torque si presenta come esasperazione totale dell’indifferenza verso lo svolgimento di una storia, verso l’interdizione irreversibile dello statuto di personaggio e verso la messa in subordine del setting.
Plot, personaggi e ambientazione: i tre fattori che qualificano un genere vengono fortemente inibiti da una componente dispotica: la logica dello spot pubblicitario esageratamente tirata fino allo spasimo. Torque è un film che si sostanzia nell’esibizione barbara e vuota della velocità fine a se stessa.
E si tratta peraltro di un’ostentazione calcolata, assolutamente consapevole della sua puerilità che furbescamente vorrebbe anche strizzare l’occhio allo spettatore con ammiccanti quanto rudimentali esibizioni di autoironia.
La percezione accelerata si delinea come univoco nucleo centrale della visione scaraventando le altre componenti altrove, in un mondo astratto dove tutto gira a doppia velocità, governato dal tasto del fast-forward.
In questo mondo astratto troviamo la messa in scena di un western rudimentale, che vivacchia a margine della inutile e roboante ‘attività motoria’ che infiamma,con spreco di senso e di pazienza, i bordi dello schermo.
E il protagonista dal passato ambiguo, la corruzione dell’esponente della legge e altri temi ‘facili facili’ cercano di emergere come farebbe un disegno animato in mezzo ad un videogioco dell’ultima generazione o, per rimanere nell’ambito in questione, un triciclo in pista insieme a un bolide a due ruote.
Si tratta forse della dignità ontologica del cinema, della sua ‘forza interiore’ che cerca di riavviare il sistema e ricominciare daccapo dopo essere stato sommerso da qualcosa per cui anche la comoda definizione di popcorn movie comincia ad essere inadeguata.