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Slipstream - nella mente oscura di H.
Slipstream, Usa, 2007
di Anthony Hopkins, con Anthony Hopkins, Stella Arroyave, Christian Slater, John Turturro, Michael Clarke Duncan, Kevin McCarthy, Aaron Tucker, Lisa Pepper, Christopher Lawford

Lynch non abita qui
recensione di Anna Maria Pelella



Anthony Hopkins ha avuto una lunga carriera. Il suo talento è stato ampiamente sfruttato, e non sempre al meglio. Ma questo è il destino dei grandi artisti che hanno anche la fortuna di piacere al pubblico. Per molti resterà Hannibal, ma solo perché si è trattato del suo personaggio più gigione, non certo il più cattivo. Con questo Slipstream però Hopkins ci pone di fronte ad un dilemma: dovremmo apprezzare lo sforzo ed esaltare per questo un’opera pretenziosa e poco ispirata, oppure dimenticare il tutto e ricordarlo solo per il suo talento di attore?
Personalmente propendo per la seconda opzione. Inutile guardare alle intenzioni: Slipstream è un tentativo non riuscito di emulare certo cinema a cui altri più dotati hanno dedicato il lavoro di una vita - David Lynch ad esempio, che non meriterebbe certo di essere tirato in ballo per così poco. Ma tant’è: Hopkins pensava senz’altro a lui mentre montava questo lavoro fintamente visionario e affogato nella tecnica. Peccato che si sia poi ritrovato tra le mani la versione di Tony Scott di un incubo di Lynch, con tutto il rispetto per i videoclip del primo.
Il protagonista, sempre Hopkins, attraversa l’intero film a bocca aperta, con l’espressione stranita di chi è sotto l’effetto di tranquillanti, e ci porta per mano dentro il disco rigido del suo computer, o la sua mente, a seconda dei momenti, dove incontreremo alcuni personaggi. Ce ne sono di interessanti e di meno fascinosi, ma tutti senz’altro più espressivi del nostro protagonista / regista / montatore / musicista (e di quest’ultima mansione ci poteva pure risparmiare il risultato).
Gli attori sono più o meno tutti lasciati in balia delle proprie possibilità espressive, che non sempre risaltano come dovrebbero.
Christian Slater è uno psicotico di prima misura, venuto direttamente dalle sue più riuscite interpretazioni dei lontani anni '80. Si diverte e convince senza strafare, così come il suo comprimario, un grande Jeffrey Tambor che ghigna e spalleggia echeggiando la follia del suo capo.
Fra le donne, sicuramente la più bella interpretazione ce la regala Fionnula Flanagan, una svagata Bette che apre e chiude il film con la stessa battuta, come fosse un incubo circolare. Stella Arroyave, invece, si perde un po’ nei vari cambi di personaggio, finendo per lasciare lo spettatore disorientato quasi quanto deve esserlo stato lei leggendo per la prima volta il copione.
Ma il più incredibile è un John Turturro assolutamente geniale, che tratteggia un produttore viscido come mai si era visto prima. Con l’eterno sorriso sulla faccia completamente stravolta, tira colpi in tutte le direzioni, senza fallire mai.
Purtroppo per gli altri attori, il continuo sovrapporsi di un ruolo all’altro non facilita il compito di identificazione e lo spettatore, annoiato dai continui riavvolgimenti e ripetizioni, all’ennesimo cambio di registro finisce per infischiarsene ampiamente di chi sia questo o quel personaggio.
Ma la vera occasione mancata è di sicuro nel montaggio. Slipstream è nel complesso un’opera che affida la sua riuscita al montaggio più che alla storia in sé, ma l’uso smodato di tecniche da videoclip affoga completamente il fascino dell’idea iniziale. La quale dopo un po’ si perde, e a nulla valgono i cambi di prospettiva e le ripetizioni, che semmai appesantiscono una narrazione già confusa in partenza. L’uso delle luci e della fotografia suggerisce certo una volontà di accuratezza, che però scivola via insieme alle intenzioni iniziali in un bailamme di immagini sovrapposte, ripetute e capovolte. Immagini che lasciano lo spettatore a chiedersi come sarebbe stato questo film se a girarlo fosse stato il maestro e non l’emulo.