Silent Hill

Polpettoni e sottotesti
di Erminio Cuzzocrea

 
  id., Usa, 2006
di Cristophe gans, con Radha Mitchell, Sean Bean, Laurie Holden, Deborah Kara Hunger


Dopo aver sconvolto le notti di sedici milioni di consumatori degli horror-pixel della Playstation, Silent Hill, la città che brucia dalla notte in cui il rogo di una innocente punì l’ignoranza dei molti, diventa una pellicola. Dopo Tron, Final Fantasy, BloodRayne, Tomb Raider, Mortal Kombat, Resident Evil, Doom, destino scritto quello di Silent Hill. A corto di sceneggiature Hollywood ormai sputa fuori dal cilindro solo conigli deformi ispirati o a fumetti cult per onanisti imberbi, o macabre e misteriose avventure da console con la super topa di turno che massacra gli avversari a colpi di machete.
Ma parliamo del film. Silent Hill non si perde in lunghe premesse narrative e dopo quindici minuti ti presenta il primo vomitevole essere che dopo pochi secondi si sdoppia e dopo altri pochi secondi di centuplica fino a diventare un esercito di vomitevoli esseri. Da qui alla fine del film il passo è veramente breve. Silent Hill è un piacere forte, diretto che non ti lascia fiato, problema è che non ti lascia proprio niente. 120 minuti di una intollerabile violenza estetica fine a se stessa, perfetta per i già citati onanisti imberbi.
Ma parliamo degli autori. Per primo il regista Christophe Gans, già autore de Il patto dei lupi e Crying Freeman, quindi più di tanto sai già che non puoi aspettarti; il ragazzo ha fatto il suo dovere, ben supportato da una fotografia azzeccata e uno straordinario lavoro scenografico (vero punto di forza del film). Non si può dire che sia un film sobrio, ma di certo è girato senza sbavature. Al rogo piuttosto andrebbe messo Roger Avary, sì avete capito bene Mr Pulp Fiction (ma comincio a pensare che ha pagato Quentin per accreditarlo come co-sceneggiatore di quella immensa opera). Avary caga un 40 minuti da galera, con un paio di toppe clamorose, ma al di là di palesi buchi nella sceneggiatura, molto male fa la semplicità con la quale riesce a complicarsi la vita. Nella seconda parte forse la storia arieggia un po’ di più, subentra anche un sottotesto che l’autore però non è riuscito mai a tirar fuori compiutamente, e comunque dopo aver mangiato merda per 40 minuti anche il polpettone di mia zia può sembrare caviale.
La storia è questa: due giovani genitori (Melinda & Melinda e Boromir) adottano una bambina che arriva direttamente dal Paese dei Morti. Quando i nodi vengono al pettine Melinda & Melinda impugna la garanzia e contro la volontà di Boromir parte per la misteriosa Silent Hill, città fantasma spesso presente negli incubi della figlia. Premessa essenziale per il lettore di questa recensione: il film di Gans non può essere valutato in relazione al gioco della Konami. C’è però da mettere in evidenza una significativa rottura tra le orrorifiche avventure che hanno incollato i playstationari e la pellicola che si appresta ad uscire in sala: mentre nel videogioco è il padre ad essere il protagonista insieme alla figlia, nel film gli autori hanno posto la figura materna al centro dell’attenzione. È qui che troviamo il già citato sotto, ma molto sottotesto della pellicola di Gans: il cordone ombelicale che lega madre e figlia. Due infatti sono le figure materne, una adotta una figlia e per lei rischia la vita, affrontando l’esercito di vomitevoli esseri, l’altra figura materna, biologicamente tale, abbandona la piccina al bigotto e malintenzionato volere della comunità, che credendola strega la mette al rogo. Ma la piccina non muore e quando diventa grande e deforme decide di vendicarsi a colpi di polipi spinati. Morale: mettere al mondo un figlio non vuol dire essere dei buoni genitori. Grazie al cazzo.
Morale di chi sta scrivendo questa “recensione”: se tua figlia non dorme bene, attaccala ad una flebo di Lexotan.