Seabiscuit
Un cavallo e il suo fantino
di Adiano Ercolani

 
  id., Usa, 2003
di Gary Ross, con Tobey Maguire, Jeff Bridges, Chris Cooper, William H. Macy

Ormai specialista nell’affrontare con originale e lucida visione poetica la recente storia americana, Gary Ross si è addentrato stavolta negli oscuri meandri della Grande Depressione per raccontare una storia di speranza, caduta e rinascita. Dopo l’excursus surreale ed elegante di Pleasantville (id., 1998), ecco invece una storia vera che però molto ha dell’incredibile: le vicende quasi leggendarie del piccolo e cocciuto ronzino Seabiscuit, e degli uomini che lo fecero diventare un grande cavallo da corsa, vengono narrate dal regista con un respiro ampio, arioso, rivolto al cinema classico americano, a cui tutta l’impostazione estetica e la struttura narrativa del film rimandano con fedele nostalgia. Il punto di forza del film sta sicuramente nel riuscire a trasformare questa vicenda “piccola” di un animale e delle poche persone che in lui credettero in un simbolo poderoso ed avvolgente. Omaggio non scontato né retorico alla poetica “buonista” ed ottimista di Frank Capra, il film di Ross diventa così un prodotto che sembra sbucato da un periodo passato ed ormai lontano, salvo poi conservare una sua personale e preziosa coerenza estetica e visiva. Soprattutto la prima parte del film, quella sicuramente meno favolistica e più imperniata sui problemi sociali che attraversò l’America negli anni ’30, possiede una forza espressiva assolutamente penetrante, capace di coinvolgere lo spettatore sia con la bellezza delle immagini che con il ritmo teso e sferzante della narrazione: molte scene vengono addirittura riassunte in una sola, stringata inquadratura, e l’uso di materiale di repertorio una volta tanto non assume il solito sapore pietistico. Seabiscuit è dunque una pellicola che nelle premesse e nella prima parte funziona in tutte le sue componenti, ma si perde in maniera abbastanza clamorosa nel secondo tempo: il climax della storia viene posto dopo circa un’ora e quaranta, ed il protagonista è il cavallo senza il suo fantino Red Pollard, un bravo Tobey Maguire. Ma poiché la star del film è l’attore – e produttore – , e soprattutto andava rispettata la filologicità di una storia realmente accaduta, Ross allunga la pellicola di un’altra mezz’ora inutile e troppo poco coinvolgente, squilibrando in questa maniera un prodotto altrimenti molto coerente. Alla fine ne viene fuori un’opera spezzata in due tronconi tra loro non omogenei, ed il risultato finale ne risente pesantemente. Seabiscuit rimane comunque un film interessante nell’idea e sfizioso nella realizzazione, lungometraggio suadente da rivedere nel tempo.