Prova ad incastrarmi

E tu prova a coinvolgermi
di Maurizio Di Lucchio

 
  Find Me Guilty, Usa, 2006
di Sidney Lumet, con Vin Diesel, Ron Silver, Peter Dinklage, Annabella Sciorra


Un film inutile, di solito, ha come pregio il fatto che non si debbano spendere troppe parole per commentarlo. Se un’opera non riesce a coinvolgere lo spettatore con un qualunque elemento di interesse, argomentare i motivi di tale piattezza può diventare quasi superfluo.
Un esempio illustre di film inutile è Prova a incastrarmi, l’ultimo lavoro di Sidney Lumet, un regista “impegnato” autore di pellicole memorabili e pungenti come Quel pomeriggio di un giorno da cani e Quinto potere. Dello splendore delle opere precedenti non vi è traccia e Lumet, ormai ultraottantenne, si limita all’ordinaria amministrazione e a una regia tanto sapiente quanto stucchevole e fuori luogo. L’ambito d’azione è quello del film “processuale”, uno dei generi che hanno fatto la fortuna del cinema americano. Uno dei motivi per cui questo tipo di film ha spesso riscosso successo è da rintracciare nel fatto che, per sua stessa natura, riesce a rappresentare magnificamente alcuni delicati “processi” interiori dell’essere umano. Il lento manifestarsi della verità intima dei personaggi, il crollo delle sovrastrutture e la tragicità degli uomini che si mettono in gioco sapendo di poter perdere tutto sono alcuni elementi che, se inseriti in un tessuto narrativo congeniale, fanno diventare necessari i legal movies. Purtroppo, qui non è possibile trovare niente di tutto questo. Prova a incastrarmi racconta la storia del processo più lungo d’America, quello intentato contro il clan mafioso italo-americano dei Lucchese. Non avendo intenzione di andare a indagare nelle profondità dei personaggi, Lumet ci consegna una commedia in agrodolce che avrebbe dovuto far divertire sull’andamento estenuante di tutto il processo e sulla verve comica di tutti i venti imputati. Anche in questo caso, però, di risate se ne fanno pochine e quello che suscita ilarità non è certo la rappresentazione dei lati più meschini dei protagonisti. La comicità lungo tutto il corso del film ha un registro greve “da osteria” e, quando convince, è merito di un paio di battute ben scritte che avrebbero fatto divertire anche se fossero state inserite in un altro contesto. A questo proposito, è indicativo sapere che lo stesso Lumet ha dichiarato di non sentirsi in grado di girare commedie non possedendo, a suo dire, i “tempi” giusti. Al di là di questo, virare il legal movie verso la commedia può essere, di suo, un’operazione interessante a patto che poi non si senta nostalgia e non si tenti di riportare il tutto verso caratterizzazioni più drammatiche. E’ proprio quello che avviene in alcune sequenze (le arringhe finali dei legali) di questa pellicola e il risultato è a dir poco grottesco: si cerca di commuovere laddove non si è riuscito a divertire. Le invettive di Lumet contro il modo di amministrare la giustizia in America sono solo uno sbiadito ricordo. Il suo la Parola ai giurati sembra davvero essere stato diretto da un’altra persona e, in più, l’occasione che aveva con questo film di ironizzare sul tema è andata irrimediabilmente persa.
Menzione a parte merita il protagonista del film, Vin Diesel. Ripescato dagli action movies più ignominiosi delle ultime stagioni cinematografiche per la sua prima parte semiseria, diventa paradossalmente l’elemento più interessante di Prova a incastrarmi. Osservare l’impegno spasmodico che profonde in ogni scena per estrarre dal suo volto un barlume di espressività è una cosa che a tratti riesce anche a divertire. La sua faccia è sicuramente simpatica ma non è stata dotata dalla natura di quel minimo di plasticità necessaria ad un attore per rappresentare un qualunque sentimento ancorché genuino e semplice. Il buffo Jackie Di Norscio che interpreta con tanta devozione diviene pian piano una mal riuscita parodia di don Vito Corleone e insozza l’unica virtù che al cinema viene riconosciuta ai mafiosi italo-americani, ossia l’amore per la famiglia.
Un film palesemente alimentare che, per giustizia divina, negli States non è stato premiato neanche dal botteghino. Chi la fa, l’aspetti.