Parla con lei
Chi parla con chi?
di Stefano Finesi

 
  Hable con ella, Spagna, 2001
di Pedro Almodòvar, con Javier Cámara, Leonor Watling, Darío Grandinetti, Rosario Flores

Parla con lei è l’imperativo con cui Benigno esorta Marco a mantenere un contatto con Lidia, anche lei in coma come la sua Alicia. Ma quanto Alicia può considerarsi sua, quanto la comunicazione che Benigno instaura con la ragazza può definirsi tale? C’è un percorso sotterraneo che attraversa l’intero film di Almodòvar, che amplifica e distorce al tempo stesso il mood melodrammatico ed è un interrogazione sulle reali possibilità di comunicazione esistenti tra le persone. I puntelli sono molti, sparsi lungo tutto il film: prima di essere investita dal toro, Lydia aveva promesso a Marco che gli avrebbe parlato di una cosa, quella che si rivelerà la relazione riallacciata con l’amante del passato; stessa promessa nella scena finale, in cui l’uomo assicura un futuro chiarimento sull’accaduto a Geraldine Chaplin (la quale ribatte, da insegnante di balletto, che niente è semplice…); l’intervista televisiva di Lydia, che viene alla mani con la giornalista quando non parlano di quanto concordato in camerino; il padre di Alicia psicanalista, a cui Benigno si rivolge solo per incontrare la ragazza e a cui mente sulla propria sessualità; Marco che va in carcere a trovare Benigno ma non riesce a comunicare bene con la secondina, poiché questa non accende l’interfono; il suicidio stesso di Benigno, infine, scatenato dall’impossibilità di una telefonata rivelatrice. Il discorso sulla parola finisce poi per infiltrarsi anche nell’apparato espressivo collaterale di cui il film è infarcito (danza, musica, corrida, cinema), dalla passione di Alicia per i film muti alla coreografia finale di Pina Bausch, con la protagonista inseguita da un ballerino che le porge solo a tratti un microfono alla bocca.
Su questo insieme di riferimenti, svetta dunque il rapporto tra Alicia e Benigno, ossia un rapporto a senso unico, che si trasforma nel solo realmente funzionante: nel mare della comunicazione equivocata e distorta, accidentata se non impossibile, Benigno costruisce la sua strada verso un’espressione piena e condivisa del sentimento, l’unica possibile: il soliloquio. Ma anche qui, in realtà, sarà solo il contatto fisico (quello stupro malgrado il quale Almodòvar, con abilità drammaturgia impressionante, riesce comunque a farci tifare per Benigno) ad essere veramente risolutivo: è probabilmente grazie alla violenza carnale e alla gravidanza, che Alicia accede al miracolo di una resurrezione, non grazie alle parole. Dal momento che questo avviene, tuttavia, e che tra lei e Benigno potrebbe nascere una comunicazione “normale”, si consuma inevitabile il rito della comunicazione interrotta (lui non saprà mai della guarigione di lei) e il tragico sbocco del melodramma. Ecco allora che lente volute di Lydia mentre affronta il toro nella corrida, la musica di Caetano Veloso, il simil-film muto, il balletto che apre e chiude il film, acquistano senso e diventano, in quanto forme espressive capaci di prescindere dalla parola, gli unici strumenti insieme al sesso di una comunicazione effettiva e profonda, irrazionale e quindi, miracolosamente, reale.

Link esterni
Pedro Almodòvar, pagina oficial
www.clubcultura.com/clubcine/clubcineastas/almodovar/
Il sito italiano di Pedro Almodòvar
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