Una notte al museo

Risate da Capra
di Maurizio Di Lucchio

 
  Night at the museum, Usa, 2006
di Shawn Levy, con Ben Stiller, Carla Gugino, Robin Williams, Owen Wilson, Dick Van Dyke, Mickey Rooney, Steve Coogan, Pierfrancesco Favino


Le care vecchie formule hollywoodiane non tramontano mai. Un uomo è sull’orlo di una tremenda crisi esistenziale e sta per perdere tutto: è divorziato, disoccupato e rischia di vedersi negata anche la custodia congiunta del figlio se non riuscirà a trovare un lavoro stabile. Quando sembra tutto irrimediabilmente compromesso, la buona sorte magicamente (nel vero senso della parola) gli offre sul piatto d’argento la possibilità di mettersi duramente alla prova e di riscoprire le sue virtù, riscattandosi agli occhi di se stesso e del mondo. Uno schema del genere (conflitto interiore-prova-redenzione) è vecchissimo, risale alla Hollywood anni ’30/’40 di Frank Capra, nasce ai tempi della Grande Depressione e ha come fine specifico anche quello di riattizzare il fuoco del sogno americano e di toglierlo dalle stagne della sfiducia generata dalla recessione economica. Il filone è partito da lì e si è replicato meccanicamente fino all’inverosimile, fino a creare il para-genere dei film “a la Vita è meravigliosa”, si tratti o no di commedie. Una Notte al museo di Shawn Levy è uno di questi. Nessuna variazione al tema: sfighe e sfigati, incantesimi, aiutanti magici, spostamenti nel tempo, invenzioni risolutrici. Un prodotto prevedibile, già visto, senza senso in una realtà che richiede anche alle commedie una capacità di raccontare il presente attraverso strumenti più aggiornati. Ridotto a questo, il nuovo film con Ben Stiller andrebbe archiviato e inserito nell’enorme scaffale delle cose inutili. Eppure, qui ci troviamo di fronte a un’eccezione: a differenza di tanti altri lavori in cui la mediocrità della messa in scena è così evidente che offusca anche i momenti di ilarità, qui la comicità è dilagante e arriva spesso a sovrastare anche gli irritanti difetti di originalità. In altre parole, si muore dal ridere. Quindi, non essendoci nessun aspetto propriamente cinematografico da sviscerare in quanto ogni cosa è ovvia anche ai meno smaliziati, l’elemento più interessante da decifrare nel film è proprio la sua comicità. E in una Notte al museo la comicità è Ben Stiller. Questo giovanotto newyorkese è ormai da un po’ di tempo che non sbaglia un colpo e riesce continuamente a reinventare i modi del far ridere all’interno del panorama mainstream hollywoodiano. E’ lui il reale mistero da svelare. In questo film, per esempio, mette in scena tutte le sue caratteristiche migliori, prima fra tutte la capacità di dipingere in maniera esilarante la condizione di chi si trova perennemente fuori luogo e fuori dal tempo. Diventa infatti il guardiano notturno di un museo in cui personaggi storici e animali prendono magicamente vita, mentre lui si autorappresenta come un talento sprecato che in quello stesso momento dovrebbe fare una comoda vita tormentata in pieno stile middle class. Stiller è una faccia che rimanda in ogni caso a un altrove: sembra dire continuamente "What the hell I’m doing here?". Ed è questa ripetuta voglia di non stare al gioco che fa sbellicare dalle risate, perché è un substrato emotivo che genera gaffe, guai ed equivoci e fa sovrapporre nel medesimo personaggio più registri comici. Gli stessi oggetti inanimati (o gli animali), per una persona che si percepisce fuori dal contesto giusto, diventano delle divertentissime minacce: basta pensare all’urna cineraria di Ti presento i miei o alla lampo di Tutti pazzi per Mary. Come a dire che lo slapstick si può riattualizzare in qualsiasi periodo storico. In questa cornice, il lavoro di Shawn Levy ha il grandissimo pregio di creare un tessuto narrativo che, pur privo di qualunque originalità, riesce ad esaltare le doti di Stiller e dei suoi comprimari (su tutti Owen Wilson, con cui fa ormai coppia fissa). Trattandosi infatti di un film comico basato su paradossi spazio-temporali secondo il meccanismo della “contemporaneizzazione” del passato (anche questo un clichè: per far ridere, gli antichi si comportano come i moderni), una Notte al museo permette a Ben Stiller di enfatizzare ancora meglio la sua poetica di “comedian” astorico e sganciato dalla realtà, facendogli individuare una sorta di inadeguatezza comune a più epoche storiche. Stiller è il campione di un determinato modo di essere archetipico, non è figlio dei tempi. Non è un caso probabilmente che i passaggi più riusciti siano quelli in cui aiuta Attila a cercare in sé stesso le ragioni della sua aggressività o quando scatena la voglia di giocare del dinosauro-scheletro. Si ride, cioè, quando i personaggi percepiscono di trovarsi fuori posto insieme al protagonista. Gli stessi attori che fanno da supporto a Ben Stiller (Robin Williams e i redivivi Mickey Rooney e Dick Van Dyke) sembrano scelti appositamente per instillare nel pubblico un senso di distanza dalla realtà e dalla consuetudine (quanti di noi non pensavano, ahimè, che il buon vecchio Rooney non fosse già morto?). Certo, tutta la storia dell’umorismo è costellata dalla vis comica dell’inconsueto: una Notte al museo e Ben Stiller hanno però il merito di fare talvolta apparire insolito il mondo e prevedibili le stranezze.