Cinema, film, recensioni, critica. Offscreen.it


Non è mai troppo tardi
the Bucket List, Usa, 2007
di Rob Reiner, con Jack Nicholson, Morgan Freeman, Sean Hayes

La vecchiaia secondo Nicholson e Freeman
recensione di Stefania Leo



L’eterna giovinezza è uno dei miti fondativi dell’american dream. Non è mai troppo tardi esplora questo tema, raccontando la storia di due uomini al termine della propria vita, che decidono di unire le solitudini delle loro vite in un’ultima rocambolesca avventura: la bucket list, la lista del capolinea. Il risultato fa pensare che c’è molta più voglia di vivere con dignità e consapevolezza che restare vivi per sempre senza davvero aver vissuto.

Carter (Morgan Freeman), meccanico per 35 anni, una famiglia affettuosa e una folle ossessione per Geopard, si ritrova in un letto d’ospedale a confrontarsi con il dissolvimento dell’amore per la compagna di una vita e la consapevolezza di avere davanti a sé ancora poco tempo da vivere. Memore di un esercizio impartito da un suo professore al primo anno di filosofia, compila la lista del capolinea, un elenco di cose da fare prima di morire.
Accanto al letto di Carter, giace bestemmiando il miliardario Edward Cole (Jack Nicholson), proprietario d’ospedali, solo, vecchio e affetto da un tumore che, anche nel suo caso, gli ridurrà il futuro a soli sei mesi di vita. Cole scopre per caso la lista di Carter e decide che i desideri del suo coinquilino d’ospedale vanno un po’ movimentati. Cole ha i soldi, Carter le idee: il tandem è perfetto. I due improbabili compagni di stanza s’imbarcano nella realizzazione della bucket list, dissolvendo le differenze in un’avventura che renderà la loro malattia sopportabile e i loro ultimi mesi davvero degni di essere vissuti. Andando contro gli ordini del medico e il semplice buon senso, i due amici inizieranno il viaggio della loro vita: dal Taj Mahal al Serengeti, passando per tatuaggi, limousine, macchine da corsa e paracadutismo.

Superare il limite, rimanere ancora abbastanza vivi dentro per non pensare alla morte, ridere fino alle lacrime: sono questi gli ingredienti del racconto scritto da Justin Zachman e reso non sempre perfettamente sul grande schermo da Rob Reiner, regista di Harry ti presento Sally. Ciò che incanta lo spettatore non è solo il ritratto delle bellezze sparse per il mondo. C’è qualcosa di suggestivo anche nel parallelo fra la parabola di vita dei due protagonisti del film e quella reale dei due attori che li interpretano. Morgan Freeman e Jack Nicholson non sono più due giovani rampanti. I loro corpi mostrano senza imbarazzo i segni degli anni: maestosi per Freeman, distruttivi per Nicholson. Eppure i due affrontano una serie di sforzi fisici che metterebbero a dura prova chiunque, dal paracadutismo alle folli corse in automobile. “È stato molto avventuroso e a me piace essere avventuroso”, ha dichiarato l’interprete di Shining. L’aura di serenità che i volti di Nicholson e Freeman sprigionano è il segno che ci sono molti modi di accettare la vecchiaia nel nuovo continente: uno di questi è la consapevolezza di aver vissuto alla grande, maestosamente, consci della straordinarietà della vita che è tale anche perché unità di tempo definita. L’immortalità ha qualcosa di noioso anche per gli esseri umani: si vedano Cocoon e l’Uomo bicentenario. Così questi grandi vecchi del cinema americano si sono lanciati nell’avventuroso ultimo miglio di Carter e Cole, regalando forti emozioni.
Ottima l’interpretazione di Sean Hayes, il divertente Jack McFarland di "Will&Grace", che veste i panni di Thomas, il sarcastico ed efficiente assistente di Edward Cole.

Oltre il grande tema della morte e della vita eterna, Non è mai troppo tardi esplora i punti di un grosso dilemma umano: quello della gioia. “Scopri la gioia nella tua vita” è l’invito che Carter rivolge a Cole, per aiutarlo a perseguire il proprio cammino di consapevolezza e in parte di redenzione da una vita egoista, piena di beni materiali e povera di affetti. Attraverso le bellezze del mondo si ritorna all’essenza: il Taj Mahal è il simbolo che porta i due a parlare dell’amore, la cima della piramide di Khufu fa riflettere sul momento della morte e sul valore della vita vissuta. Il tutto condito con l’ironia di Reiner, la vera cifra stilistica del regista, tra gli altri, della docufiction This is spinal tap.
Commuovere con la morte è facile. Non è mai troppo tardi sfrutta bene questo meccanismo. Ma ciò che dobbiamo riconoscere ad una pellicola che racconta anche la decadenza (almeno fisica) di due esseri umani in carne ed ossa, è che i protagonisti di questo film riescono anche a commuovere con la vita.