Matrix Reloaded
Tempo, controllo, scopo
di Luca Persiani

 
  the Matrix Reloaded, USA, 2002
di Andy e Larry Wachowski, con Keanu Reeves, Carrie-Ann Moss, Lawrence Fishburne, Monica Bellucci, Hugo Weaving


La prima battuta di Matrix Reloaded è di Trinity, ed è: “sono dentro”, riferita alla sua riuscita irruzione in un edificio chiave per il finale del film. Immediatamente dopo, complice un’ellissi temporale, Trinity è fuori: scaraventata da una finestra dello stesso edificio, cade a rallenti nel vuoto insieme all’agente Smith, con il quale è impegnata in una sparatoria volante. “What is the Matrix”, “Cos’è Matrix”, recitava la frase di lancio del primo film: come un fantasma del racconto, la prima sequenza di Matrix Reloaded (letteralmente “la matrice ricaricata”), che si rivelerà una pre-visione e poi un flashforward delle vicende del film, denuncia una fulminante e nitidissima autocoscienza narrativa ed estetica. In Reloaded, più che ogni altra esperienza passata (incluso il primo Matrix), ogni azione sarà come un proiettile (bullet) e un balletto (ballet) che sfida il Tempo (Time) per questioni di ritmo. Reloaded alterna quasi meccanicamente momenti di azione ai limiti delle possibilità della messa in scena del cinema contemporaneo con “bolle” narrative in cui i personaggi espongono con una dialogicità quasi socratica i nodi fondamentali della filosofia-Matrix su cui si basa il mondo creato dai fratelli Wachowski. Una struttura narrativa che ricalca esattamente alcune delle utilizzazioni più spettacolari dell'ormai notissima tecnica di ripresa “bullet time”, che consente rallentamenti e accelerazioni estreme. Sbalzi che alterano le possibilità ritmiche dell’azione, per fondere indissolubilmente modalità più prettamente illustrative (cosa sta accadendo) con altre spettacolari (come sta accadendo) in uno slancio espressivo che fa di queste frenate e accellerazioni il fulcro di un progetto narrativo dall’essenza costantemente sbilanciata ma sempre miracolosamente salda.
Salda perché l’altra ossessione wachowskiana è quella del Controllo: la possibilità di riprendere corpi e spazi da ogni angolazione, in ogni momento, in ogni posizione. Tanto che Reloaded in più di un momento si confonde spudoratamente con la messa in scena completamente simulata di un videogame in 3D, ambiente in cui il controllo è letteralmente in mano al giocatore. Anche se nel cinema, al contrario del gioco, il fruitore subisce (o almeno dovrebbe) ipnoticamente una narrazione che è in mano ai realizzatori. L’ambiguità di questo concetto (pubblico giocatore-giocato) è anche il fulcro della rinnovata concettualizzazione che Reloaded fa del mondo-Matrix. L’Architetto, colui che ha creato il programma-Matrix per il controllo e lo sfruttamento degli esseri umani, si è trovato costretto ad inserire un “bug”, un difetto nella simulazione, per farla accettare alla mente degli uomini, che non riescono fisicamente tollerare la perfezione delle macchine. Questo costringe l’intero programma - l'intera matrice - ad una periodica e prevista distruzione e ad una consequenziale “ricarica” (reload). Una decadenza, morte e rinascita programmate a cui non c’è via d’uscita, a cui l’unica alternativa è l’implosione totale del sistema, che trascinerebbe alla morte le macchine e gli umani. Il Controllo totale sul creato prevede come necessarie anche le ribellioni e i programmi che vanno oltre il loro previsto funzionamento, a cui si può forse opporre solo una radicale rivoluzione (il terzo capitolo di Matrix sarà Revolutions). Rivluzione che mostrerà come il Controllo totale non è altro che, come Matrix stessa, l'illusione totale.
Se la rivoluzione è l'inevitabile Scopo dei Ribelli ed è la morte di tutto secondo la programmazione dell'Architetto, lo scopo dei Wacthowski è l'Azione stessa. Perché l'Azione è la vita: degli esseri umani, delle macchine (a discapito di quella degli esseri umani) e del cinema. I balleti/lotta dei simulacri superumani contro le macchine antropomorfizzate nella realtà simulata e ciclicamente atemporale di Matrix, sono ormai slanci completamente astratti, rappresentazioni estetiche pure il cui scopo si risolve primariamente nel movimento e nel gesto. E il movimento è solo apparentemente maniera, autoriflessione, rappresentazione priva di senso. Perché il senso e lo scopo di Matrix sono tutti nel tempo, nel controllo e nell'illusione di padroneggiare entrambi: il tempo dell'azione e la qualità del suo dominio. In Reloaded c'è un'esemplificazione di questo concetto in una ficcante sequenza-rave, la rappresentazione di una danza techno puramente tribale che sprigiona l'energia spirituale del popolo di ribelli di Zion. Energia che si fonde con l'atto sessuale di Neo e Trinity, mentre il tempo della narrazione è ammantato ancora una volta di un ralenti coscientemente abusato. Tanto abusato da trasfigurarsi in una cifra stilistica nuova, che trasforma la dilatazione in sintesi estrema. Come la lotta ingigantita dalla lente del tempo, la danza dilatata è contemporaneamente un accumulo (load) e uno scarico di energia, il "dentro" che è subito "fuori" in una ripetizione infinita, che proprio nella ripetitività ossessiva e nell'accumulo progressivo e ridondante riesce a generare il piacere della fruizione. Esattamente come il piacere generato dalle favole ri-raccontate, ri-caricate dall'ascoltatore - che arriva a confondersi col narratore - all'infinito nell'illusione confortante di un Controllo sempre più raffinato. Una ricarica in cui la qualità dell'azione, il cui Scopo, non si logora mai, crogiolandosi e rigenerandosi nella ripetizione, nel Tempo.