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Match point
id., Usa, 2005
di Woody Allen, con Jonathan Rhys-Meyers, Scarlett Johansson, Emily Mortimer, Brian Cox

Bentornato, Woody!
recensione di Giulio Frafuso



Non vedevamo l'ora di dirlo: uscendo dalla visione di Match Point, ci sentiamo come dopo aver rivisto un vecchio amico, che non si faceva vivo da un po'. Nella fattispecie, si tratta di uno degli autori cinematografici che più hanno contribuito, fin dai tardi Settanta, a formare la nostra passione per la Settima Arte, finalmente tornato - dopo un lungo periodo di latitanza - alle temperature registiche dei bei tempi. E per farlo, Woody Allen, ha pensato bene di rispolverare le tonalità nere del capolavoro Crimini e misfatti (Crimes and Misdemeanors, 1989), e le tematiche che pure animavano parte del plot di quell'opera.
Rispetto ai suoi lavori recenti, il suo ultimo denuncia un'ispirazione evidentemente superiore, ed un'aderenza tra poetica ed estetica davvero notevole. Bentornato, Woody. 
Rispettata l'insopprimibile volontà di manifestare il nostro entusiasmo, teniamo subito a premettere che Match Point, pur nella sua indubbia riuscita artistica, non centra il capolavoro. Ci va vicino, ma l'inalienabile anima sofisticata del sulfureo sceneggiatore Allen gli gioca un brutto scherzo. E il noir ne risente, purtroppo. 
Eppure non è la prima volta che l'autore newyorchese esplora i territori del dramma esistenziale: gli era già capitato, per tacer dell'opera citata - che comunque rimane la più vicina a Match Point -  almeno con la felice puntata bergmaniana di Interiors (id., 1978) oltre che con lo splendido studio femminile di Un'altra donna (Another Woman, 1986) - quest'ultimo, tout court, uno dei suoi capolavori.
Nulla di nuovo quindi sotto il sole per il grande Woody: le tematiche che vengono messe in scena hanno vagamente il sapore del già visto, soprattutto per chi tiene a mente le opere del passato. Se questo non è evidentemente imputabile al film come difetto, altrettanto non si può dire invece della sceneggiatura del film, che in alcuni momenti si concede un gusto del discorsivo eccessivamente sottolineato. È ciò cui accennavamo prima: da sempre straordinario creatore di dialoghi, situazioni e soprattutto personaggi, stavolta Allen concede troppo al vezzo dell'entomologo, probabilmente interessato a rappresentare al meglio un ambiente al suo cinema nuovo come quello della upper class londinese; è così che l'autore sciorina tutta una serie di scene e situazioni che di quel ceto definiscono alla perfezione sia la mentalità “chiusa che la spocchiosa aria di superiorità.
Se dunque il suo personalissimo sguardo sui personaggi continua a divertire - e molto -  stavolta però risulta poco funzionale con lo sviluppo della trama principale, e mette i bastoni tra le ruote ad una narrazione che avrebbe dovuto farsi spesso più secca e tagliente, tenendo fede con maggiore risolutezza ai canoni del genere.
Dove invece Match Point si rivela essere una delle migliori pellicole del genio newyorkese è proprio nella regia, e precisamente nell'idea di messa in scena che anima il film: Allen arriva ad un incredibile sintesi di eleganza ed al tempo stesso di stilizzazione, opportunamente supportato dalla fotografia pastosa e ricca di variazioni cromatiche di Remi Adefarasin. Anche a questo livello si esplicita il trait d'union con il paradigma di Crimini e misfatti: il regista opta per una rarefazione estetica che viene direttamente dal tetro universo dipinto in quel film, e che a ben guardare contraddistingue molta parte delle sue opere più riuscite.
Splendido esempio di aderenza tra forma e contenuto, la bellezza delle immagini in molte parti di Match Point non soltanto si pone come impeccabile cornice a quanto viene messo in scena, ma ne rappresenta, nella sua scelta di toni, il più coerente pendant estetico: negli ultimi tempi raramente si è assistito ad una così penetrante fusione tra materia trattata e mezzo espressivo attraverso cui raccontarla. La carta vincente dell'Allen "nero" si gioca tutta sul terreno della stilizzazione: la sua regia arriva ad uno stadio di sottrazione, di non sottolineatura degli eventi che non può non trasformarsi in lucidissima riflessione sull'uso nascosto del mezzo, testimone distaccato ma impietoso dell'umana miseria. 
Magnifica testimonianza di cinema congelato ed allo stesso tempo finemente ideato, Match Point testimonia in pieno la volontà del proprio autore di tornare su tematiche già affrontate, supportato stavolta da quella disillusa saggezza che ne placa la spinta moralistica. Peccato, perché una maggiore presa sulle dinamiche interne al genere  - giocata principalmente su un più deciso sfoltimento di alcune non funzionali pennellate di costume - ci avrebbe consegnato un capolavoro. A parte questo, il film segna il ritorno di un grande regista. Non vedevamo l'ora di dirlo.