New York stories - Lezioni di vero

L'arte come accumulo e passaggio di tensione
di Stefano Finesi

 
  New York Story - Life Lessons, Usa, 1989
di Martin Scorsese, con Nick Nolte, Rosanna Arquette, Patrick O'Neal, Jesse Borego, Steve Buscemi


Paulette ha deciso di andersene.
Di lasciare New York, di rinunciare a vivere "in the heatr of the heart" e soprattutto di rinunciare alle "lezioni di vero" di Lionel Dobie. Si avvicina a lui per dargli la notizia ma "il leone" sta dipingendo: mentre dallo stereo suona a tutto volume "Like a rolling stone", l'enorme tela rettangolare si infiamma di colore sotto le sferzate dei pennelli. Paulette resta a guardare, in estasi, l'inquadratura stringe su di lei, nell'alternarsi sempre più serrato con le pennellate di Lionel in completa trance creativa, mentre si consuma l'unico possibile amplesso tra i due.
Partiamo da qui, ma gli esempi sono parecchi. Il diaframma che sostiene il cinema di Scorsese, che lo fa vivere e respirare ad un livello difficilmente raggiungibile, è una sorta di capacità di mobilitazione dei sensi, di aggressione fisica dello spettatore che parte dal completo dispiegamento delle potenzialità della macchina-cinema. In Lezioni di vero il regista newyorkese convoglia nella sua dinamo inesauribile ogni possibile spunto: letteratura (il film si ispira a "Il giocatore" di Dostoevskij e ai diari della sua amante, Polina Suslova) pittura, musica, attrazione amorosa, ritmi urbani, esaltati tutti al massimo grado di sprigionamento energetico e concentrati con il favore del racconto breve.
Il risultato è sì una rappresentazione memorabile dell'ossessione erotica e del travaglio dell'artista, ma è forse ancora di più un saggio sulla seduzione dell'arte (cinema in primis), sul miracolo della creazione artistica come accumulo e passaggio di tensione, da realizzarsi, prima di ogni elaborazione successiva, sotto forma di impulsi diretti, soprassalti istintivi, puro dinamismo di gesti e movimenti. Scorsese e Lionel Dobie sono entrambi officianti di questo rito, traduttori che portano su tela e schermo i segni di quell'energia primordiale di cui sono ricercatori instancabili e intermediari privilegiati. In fondo, l'opera che infine ritroviamo in galleria non è la scheggia di un fiammeggiante cinemascope?