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Interview
id., Usa / Canada / Olanda, 2007
di Steve Buscemi, con Sienna Miller, Steve Buscemi

Un’intima intervista in interno
recensione di Emanuela Andreocci



Nominare tutti i film o i registi con cui l’eclettico Steve Buscemi ha lavorato rischierebbe di diventare un elenco interminabile che sicuramente, con possibili e probabili dimenticanze, farebbe torto a qualcuno, quindi perchè farlo? Il suo nome vale anche da solo, senza nessuna ulteriore indicazione: è lui l’unica garanzia di se stesso. Andando oltre il suo essere un attore unico, versatile e poliedrico, negli ultimi anni si è rivelato anche un valido e sperimentale regista. Ed ecco che ora, grazie ad Interview, abbiamo la possibilità di vederlo come regista e protagonista sul grande schermo.
Il progetto di girare questo film nasce dal desiderio di rendere omaggio ad un’altra eclettica personalità che, nel 2004, è venuta a mancare per volere di un estremista islamico: Theo van Gogh. Nipote del più famoso Vincent, ha consacrato la sua vita all’arte e nei suoi film ha espresso al meglio il suo pensiero e il suo credo. Egli già desiderava che venissero fatti, in inglese e con attori importanti e conosciuti, i remake di alcune sue opere; a pochi anni dalla sua morte Buscemi apre le danze di quella che sarà la trilogia a lui dedicata: seguiranno, infatti, i remake di 06 e Blind Date affidati a Stanley Tucci e Bob Balaban.
Per compiere al meglio le sue volontà il regista, oltre ad usare parte della troupe originale, adotta anche lo stesso sistema di ripresa (fortemente voluto da Weiss e Gijs van de Westelaken, i produttori di Van Gogh che si stanno occupando del progetto “Triple Theo”). Il regista olandese, infatti, aveva l’abitudine di girare ogni sequenza con tre camere digitali, in modo da poter avere un riscontro immediato con immagini subito consultabili e materiale in abbondanza. Lo stesso Buscemi ammette come questo tripartito sistema di ripresa si sia rivelato estremamente utile e vantaggioso: i due protagonisti avevano maggior spazio d’azione e più libertà d’improvvisazione, consapevoli del fatto che nessun movimento o nessuna battuta sarebbero andati perduti.

Il film mette in scena e soprattutto in gioco il ruolo dei media all’interno della società moderna mostrandoci l'incontro-scontro tra Pierre Peders, cronista di guerra, e Sienna Miller che, nei panni di Katya, è una celebrità nel campo delle soap opera. Le premesse non sono certo le migliori per una tranquilla e proficua intervista: lei si fa attendere per circa un’ora, lui è contrariato perché si è dovuto abbassare a vestire il ruolo del critico cinematografico. Un incidente - è proprio il caso di dirlo! - del destino però porta le due contrastanti personalità a conoscersi meglio, in un ambiente decisamente intimo e che ispira strane e fuorvianti confidenze, legando i due in uno strano rapporto che gioca su sensazioni contrastanti ma che, spesso, vanno di pari passo: iniziale antipatia e successiva curiosità, studio dell’avversario con conseguente avvicinamento, seduzione e abbandono.

La messinscena di Interview ricalca quella delle piece teatrale con due personaggi che si muovono e, soprattutto, dialogano in un interno. Il film infatti, presenta i due protagonisti che agiscono e vivono per la maggior parte della durata della pellicola nell’appartamento di Katya, e che sono contornati, negli altri due ambienti che possiamo considerare l’uno introduttivo - il ristorante - l’altro di passaggio - la strada - da così pochi altri personaggi che si contano sulle dita di una mano.

Nonostante la qualità degli attori, l’efficienza delle scelte registiche, i temi trattati (che spaziano dalla conversazione più banale alle confessioni più intime) il rapporto tra i due che si fa sempre più accattivante (sfiora più volte il complesso edipico e evolve in un capovolgimento dei ruoli quando Katya si mette dietro la macchina da presa) e la beffa finale, il film alla fine lascia dubbiosi. Ma merita comunque di essere visto.