un Homme sans l'occident
Docufiction priva di occidente
di Luca Persiani


Venezia 59 - 2002
  un Homme sans l'occident, Francia, 2002
di Raymond Depardon, con Ali Hamit


Tratto dal romanzo di Diego Bosset, "bibbia" dei soldati dei Camel Corps francesi, un Homme sans l'occident racconta la vita di un uomo nato nel deserto, la cui esistenza nomade e libera è l'incarnazione di una filosofia sociale completamente opposta a quella dei colonizzatori francesi. La sua opposizione agli invasori è uno sforzo inutile e sproporzionato, che non viene compiuto con una speranza precisa di liberazione, quanto come comportamento generato dall'essenza stessa della vita dell'uomo: una scelta obbligata segnata da una naturale ed estrema dignità. Per raccontare quest'esistenza estrema, un Homme sans l'occident azzera le modalità della docufiction dai cui stilemi deriva e a cui eravamo stati abituati da un utilizzo prevalentemente televisivo, per creare una prospettiva inedita o comunque abbastanza inconsueta nel panorama del genere. Il film di Raymond Depardon sceglie infatti la strada del rigore e della composizione dell'inquadratura come elementi narrativi portanti, abolendo praticamente i dialoghi, di cui sentiamo solo il suono in lingua originale e una più sintetica traduzione da parte di una voce fuori campo sovrapposta. E' proprio questa voce che caratterizza più fortemente la matrice documentaristica del film, comportandosi come unico elemento esplicativo "occidentale" in un deserto di segni familiari dove le esigenze di una narrazione scarnificata spingono ad una sintesi estrema di sapore eisensteiniano, il cui impatto emotivo è immediato e disarmante. Ben oltre l'autocompiacimento da National Geographic intelletualoide del peggior Sharunas Bartas, i tempi del deserto di Depardon sono dilatati ma mai insistiti: l'alterità dei ritmi sahariani è rispettata fino in fondo nella sua funzione narrativa, la nitidezza dei contrasto degli uomini neri sulla sabbia bianca è fortemente indirizzata a trasmetterne l'esperienza. Il tutto non privo di squilibri o cadute, ma condotto con una purezza di intenti e rigore portatori di una forte carica espressiva. Così, in un contesto dove la matrice pseudo sociologica del testo di partenza (le infinite storie di clan e tribù) viene apertamente relegata dai realizzatori allo sfondo, un Homme sans l'occident diventa una sorta di anti-documentario che rovescia i codici di intrattenimento, una docufiction "altra", "opposta". Così come il suo protagonista è un uomo che si definisce in quanto "manca" di alcuni tratti culturali a cui è naturalmente e non strumentalmente opposto, in uno sforzo di sopravvivenza tragico e limpido, dove il dramma sfugge alla parola e ai vincoli narrativi che da essa derivano per essere espresso pienamente dalla fisicità del deserto e degli uomini che lo attraversano.