Fur

Istantanea di un melò
di Emanuele Boccianti

 
  Fur: An Imaginary Portrait of Diane Arbus, Usa, 2006.
di Steven Shainberg, con Nicole Kidman, Robert Downey, Jr., Ty Burrell


Non è ben chiaro quanto di biografico effettivamente ci sia in questo Fur, situato in un punto imprecisato dello spettro che va dal fact alla fiction (ma sicuramente molto più vicino alla seconda), ma sembra che uno degli intenti - o dei piaceri - del regista Steven Shainberg (premiato qualche anno fa al Sundance Film Festival con Secretary) sia stato proprio quello di giocare con questa nuance, servendosi di un personaggio così fortemente connotato, una delle più importanti ed innovative artiste della fotografia come Diane Arbus, come di una grande e maliziosa esca, per attirare lo spettatore e raccontare una storia che potrebbe non essere stata quella della vera Diane, o forse sì, ma, sembra suggerire il regista, dopotutto non è questo l’importante. L’importante, allora, sarebbe prendere spunto dal carattere e dalla psicologia della donna, così come appare emergere dalle sue fotografie - il suo gusto per le bellezze difformi, o meglio, per le difformità che venivano rese belle dal mezzo fotografico - per raccontare la favola moderna di una donna ostaggio di una vita borghese, dentro una famiglia borghese, che scopre se stessa attraverso l’incontro con un estraneo eccezionalmente diverso, dunque antiborghese.
Facciamo un passo indietro, e dimentichiamoci che si tratti di quella Diane Arbus, provando a seguire la vicenda semplicemente per quello che è, disconnettendola dal suo ormeggio con la storia vera. Questo è stato il tentativo di chi scrive per cercare di tracciare efficacemente il film, e capire dove effettivamente andava a parare, una volta capita l’antifona, e cioè che la fotografia nella narrazione è poco più di un contesto da cui si parte, una specie di setting, e di fotografie della Arbus non se ne vede neanche l’ombra.
Nicole Kidman presta volto e personalità a questa donna che arriva oltre i trent’anni senza aver capito bene chi è né cosa vuole dalla propria vita, tanto da entrare in crisi quando in pubblico qualcuno le chiede cosa faccia effettivamente nello studio fotografico del marito. “Porto le cannucce alle modelle, così non si sciupa il rossetto quando bevono”, è la sua risposta, poi scoppia a piangere. Più tardi scoprirà che al piano di sopra ha appena traslocato uno strano e inquietante personaggio che gira sempre col volto coperto. Lei impara a conoscere questo vicino così singolare da avere tutte le ragioni per andare sempre in giro bendato, ma grazie all’impetuosa - ancorchè disperata - storia d’amore che ne nascerà lei alla fine sarà libera di capire cosa vuole dalla vita, di seguire la sua enorme attrazione per tutto ciò che è anticonvenzionale nella forma e nel contenuto, e ovviamente di lasciare il marito. Ecco: lasciate perdere la fotografia, la Arbus storica, correte dietro a questa vicenda che è un’evidente omaggio-citazione a La bella e la bestia di Cocteau e una rivisitazione rovesciata del Freaks di Browning, e fatevi irretire dal melodramma, se vi basta, perchè altro non è. Dopotutto abbiamo sempre una Kidman efficace ed espressiva e un Downey Jr. perfetto, quando truccato dal maestro Stan Winston e fotografato da Bill Pope - quello di Matrix, proprio lui: alla fine la fotografia in questo film c’entra eccome.