Full frontal
Il nudista impacciato
di Luca Persiani


Venezia 59 - 2002
  Full Frontal, USA, 2002
di
Steven Soderbergh, con Blair Underwood, Julia Roberts, David Hyde Pierce, Catherine Keener, Mary McCormack, David Duchovny, Nicky Katt, Enrico Colantoni, Terence Stamp, David Fincher, Brad Pitt


Full Frontal mette in scena, con attitudine strepitosament autoreferenziale, un mondo produttivo ristrettissimo e particolare: quello della Miramax e dell'entourage di amici e conoscenti del regista Soderbergh. Perso in un gioco apparentemente troppo affettuoso e esageratamente personale dalle rischiose tinte dell'affresco parodico, Soderbergh sforna un irritante dogma-movie in video, intrecciato con il film in pellicola che i protagonisti del dogma stanno realizzando.
Dunque c'è il film in pellicola (i cui titoli di testa si sostituiscono, con una mossa che riesce solo a sconcertare e irritare qualsiasi pubblico, a quelli di Full frontal stesso), un demenziale indie con Julia Roberts che si innamora di un attore nero di blockbuster, dall'animo sensibile e con progetti cinematografici incompresi dall'industria ma sicuramente molto profondi. Il film vorrebbe essere un ironico autosberleffo al genere, intrecciando un'improbabile trama di romance drama, la cui goffa pochezza drammatica non si trasfigura mai in satira, risultando solo pesante e poco divertente.
Poi c'è lo pseudo-dogma, che racconta con il sigillo di "garanzia-reality" del video le storie "vere" (contrapposte a quelle "finte" rappresentate dal film in pellicola) di personaggi che girano intorno al mondo della produzione losangelina. Questo è il full frontal, il nudo integrale contro la snaturante falsità dell'industria del cinema, un full frontal che vuole e può prendersi tutte le libertà del mondo nella messa in scena grazie alle possibilità del video. Oppure che crede di essere efficace solo grazie alla -presunta- libertà del video, che concede più spazio e intimità all'attore, e che, apparentemente, richiede meno "costruzione" intorno alla recitazione e allo spazio della messa in scena. Ma Soderbergh non ha dalla sua le particolari intuizioni di stampo cassavetessiano che un discorso del genere dovrebbe presupporre. Se aggiungiamo a questa mancanza l'ambizione spropositata di mettere il tutto nell'abisso del metacinema più autoreferenziale, otteniamo un film tanto difficile da seguire quanto inutile da proporre. Full frontal sembra un home movie di cazzeggio fra amici snob, una sconcertante prova di impaccio realizzativo e presunzione narrativa, un'irritante inside joke dilatato alle dimensione di un lungometraggio e proposto ad un pubblico al quale ontologicamente non può appartenere. Se il cinefilo può esaltarsi per l'apparizione di un David Fincher o un Harvey Weinstein nei panni di loro stessi, o per i vaghi frammenti di una Los Angeles un po' meno patinata e precisa del solito, lo spettatore normale non può che chiedersi chi diavolo siano questi ed altri personaggi insignificanti (e in qualche caso deprimenti), e perché ci si soffermi su di loro. Nel caso ce ne fosse stato bisogno, Full frontal dimostra come Soderbergh non possa prescindere, per essere convicente, dalla rotaia dell'industria, o quantomeno da un solido percorso narrativo che si prenda sul serio e che, soprattutto, non tenti di ingannare il pubblico con esercizi di pseudo indipendenza realizzativa autoriale con poca sostanza e rispetto per la platea.