Fuga da Los Angeles

John Carpenter
di Adriano Ercolani


Frame stop:
John Carpenter

  John Carpenter’s Escape from LA, USA, 1996
di John Carpenter, con Kurt Russel, Pam Grier, Steve Buscemi, Peter Fonda, Valeria Golino

Seguito, remake, aggiornamento tecnologico ed ideologico del cult precedente, la nuova avventura di Jena "Snake" Plissken si trasforma immediatamente in uno dei film più cupi, politici e nichilisti di Carpenter; dietro una messa in scena apparentemente ridanciana e svagata si nasconde infatti una revisione pessimista della cultura pop "made in USA". Los Angeles non è decaduta, è letteralmente esplosa in tutte le sue significazioni, e si è trasformata in prigione ma allo stesso tempo terra di frontiera, pericolosa e libera come il selvaggio West. Luogo neutro dove regna l'assenza di valori, la capitale dello spettacolo diventa teatro dell'insignificante, o meglio del non-significante. La scena importante di Fuga da Los Angeles in questo senso è a nostro avviso quella in cui Jena deve superare la prova del campo di basket, gara contro il tempo per la propria sopravvivenza, gioco che perde ogni senso e si trasforma in pura alienazione. Parodia dell'individualismo, in questa scena Plissken corre goffo ed appesantito da una parte all'altra del playground per sbattere un pallone dentro un cesto. Alla fine, pura magia e sberleffo, l'eroe sfiancato tenterà il tiro della disperazione da almeno trenta metri, riuscendo ovviamente nel canestro perfetto. Ma cosa è successo stavolta? L'eroe non ha combattuto la propria battaglia contro il nemico e l'ha superato nel campo di battaglia, ha semplicemente… giocato a pallacanestro da solo! Carpenter svuota di senso l'azione, la rende inutile, la riduce ad involucro talmente fittizio da non poter essere ricoperto di alcun significato. Se alla fine Kurt Russell spegnerà il mondo con gesto radicale e liberatorio, l'autore ha già spento il cinema con questa scena, densa e fondamentale nella sua assenza.