il Favoloso mondo di Amélie
Piaceri tattili della visione
di Stefano Finesi

 
  le Fabuleux destin d'Amélie Poulain, Francia / Germania, 2001
di Jean-Pierre Jeunet, con Audrey Tautou, Mathieu Kassovitz, Rufus, Lorella Cravotta

De Il favoloso mondo di Amélie mi piace: la piccola Amélie che si toglie la colla essiccata dai polpastrelli o mangia le fragole in punta di dita; la foto del nano da giardino in Cambogia; le improvvise derive di immagini di repertorio, come quando per giustificare il ritardo di Nino Amélie arriva a crederlo finito in Afghanistan per combattere da mujaheddin; il primo contatto tra i due protagonisti, nel tunnel dell’orrore, e il prolungato, esitante bacio finale; Amélie al cinema, che guarda gli spettatori che guardano il film; il suggeritore del tombino per punire gli arroganti con una battuta; il pesce rosso suicida; il sosia di Stalin che proclama come ognuno abbia diritto al fallimento della propria esistenza; la tabaccaia ipocondriaca; l’album di fototessere di Nino, ossia la versione metropolitana della commedia umana.
De Il favoloso mondo di Amélie non mi piace: l’incapacità di dare a una serie folgorante di microintuizioni un respiro narrativo più ampio, che le faccia almeno resistere a una seconda visione; la Parigi da cartolina con la fisarmonica e i chioschetti di Montmartre; il fatto che, con tutta la sua ossessione per i piaceri tattili e momentanei, il film stesso rimanga una fugace esperienza epidermica, infarcito di sottotracce e personaggi secondari assolutamente inutili (lo scrittore fallito, il giovane commesso del fruttivendolo, la portiera con il cuore spezzato); l’eccesso di effetti speciali che finisce per infiacchire, in una ingombrante sofisticazione dell’immagine, l’esplorazione continua delle possibilità sensoriali; la scelta di Jeunet di elaborare una specie di post-moderno per le masse, pagando però il prezzo di smorzare ogni capacità corrosiva a favore di un romanticismo onirico un po’ furbetto; la storia d’amore tra Nino e Amélie, ossia la storia del semplice raggiungimento di un contatto che in realtà non si basa su nulla e riesce quindi ad essere potentemente piacevole e consolatoria; il conseguente sorriso ebete degli spettatori che escono dal cinema dicendo “Quanto è carino!”.
Detto questo, visto che esistono più connessioni nel mio cervello che atomi nel mondo, vi saluto e vado ad occuparmi d’altro.