il Fantasma dell'opera
Sono un mostro e ti amo!
di Adriano Ercolani

 
  The Phantom of the Opera, Usa, 2004
di Joel Schumacher, con Gerard Butler, Emmy Rossum, Natascha Richardson, Simon Callow, Minnie Driver.


Anche se sono passati alcuni anni, vi ricordate film come Il diritto di uccidere, Batman Forever, 8mm? Beh, anche noi, e sinceramente vorremmo dimenticarli. Di Joel Schumacher ci piacerebbe tenere a mente soltanto opere come Linea mortale, Un giorno di ordinaria follia, Tigerland e soprattutto quest’ultimo, folgorante Il fantasma dell’opera. Già, perché quando questo stravagante cineasta si prende una vacanza dall’essere un mestierante di routine al servizio dell’industria hollywoodiana più trita, allora dimostra di avere talento visivo, gusto della messa in scena e solida capacità narrativa. Considerato anche che, per riuscire a portare al cinema una versione di due ore e un quarto del capolavoro di Andrew Lloyd Webber e non annoiare neppure chi di musical certo non vive, anzi entusiasmarlo, ci vuole innanzitutto un particolare senso del ritmo da imprimere alla storia. Essere capaci di dosare con precisione pause distensive e momenti drammatici di grande intensità. Avere un senso estetico di penetrante eleganza e di simultaneo istrionismo barocco. Tentare di spiazzare le aspettative puntando su attori sconosciuti ma perfettamente aderenti ai propri ruoli. Tutto questo è Il fantasma dell’opera, pellicola fastosa nell’immagine quanto densa e toccante nel contenuto. A parte i più bei film di Tim Burton, raramente in un lungometraggio hollywoodiano di recente produzione abbiamo visto raccontata con tale partecipazione la fabula della bella e la bestia; il rifiuto della società, l’alienazione e l’esilio, l’ossessione amorosa ed il desiderio erotico generato da ciò che ci ripugna; il film di Schumacher racconta con sfavillante senso melodrammatico tutto questo, creando un talentuoso monstrum che si libra pesante tra intimismo e sfarzo.
Già, perché il film è prima di tutto un musical poderoso ed avvincente, che contiene in sé almeno quattro scene che entrano di diritto nella storia di un genere cinematografico che si credeva erroneamente ormai defunto. Le musiche dell’ormai mitico Lloyd Webber reggono immense un impianto estetico coerente e prezioso, che compone un mosaico colorato ed obliquo di scenografie, costumi, coreografie ed, ovviamente, musica. Il tema ricorrente del film ha la stessa ossessiva ridondanza che accompagna il suo mascherato protagonista, accentuando con perfetta scelta logica la sua psicologia. Tutto Il fantasma dell’opera sembra infatti un fastoso e romantico incubo, in cui anche la scena più lucente si carica di una dimensione nefasta, inquietante; in questo senso, grande apporto alla riuscita finale va diviso anche con la livida fotografia di John Mathieson, capace di donare al colore più intenso l’asprezza necessaria a renderlo disturbante.
Sì, perché la pellicola ideata dalla coppia Schumacher/Webber – autori anche della sceneggiatura – è forse la creatura più inquietante ed affascinante degli ultimi anni, almeno per quanto riguarda il suo genere: dopo la mirabolante freddezza di Moulin Rouge e la leccata esplosività di Chicago, ecco un musical sfrenatamente romantico e barocco, che porta fino in fondo la sua stessa natura: catturare lo spettatore, irretirlo nel proprio vortice visivo/sonoro ed allo stesso tempo commuoverlo, portarlo ad immedesimarsi (o meglio, a provare empatia) nei propri eroi. Così, quando il fantasma si presenta alla bella Christine, oppure quando offre lo spiraglio della propria mostruosa corazza al pugnale dell’amore di lei, è praticamente impossibile non rabbrividire. Grosso, inappuntabile merito di questo va anche equamente diviso tra la forte presenza fisica di Gerard Butler e la trascinante carica erotica di Emmy Rossum. Difficile, molto difficile risulterà dimenticarsene…