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Espiazione
Atonement, inghilterra, 2007
di Joe Wright, con Keira Knightley, James McAvoy, Saoirse Ronan, Vanessa Redgrave

Piaceri fugaci, colpe terribili
recensione di Emanuele Boccianti



La cosa migliore che si può dire di Espiazione è che è un gran bel pannello, intriso di colori e di piacevoli trovate visive. Anzi, no: che ci sono almeno due importanti prove di recitazione (la giovanissima Saoirse Ronan e il fosco e dolente James McAvoy, già notato ne l’Ultimo re di Scozia), più una gemma finale (la sempiterna Vanessa Redgrave, che gli dèi ce la preservino ancora a lungo). Trattandosi di un film, sicuramente non è poco. Inoltre, okay: ha una genitura coi fiocchi, essendo stato adattato (per mano dello stesso che aveva firmato la riduzione de le Relazioni pericolose: Christopher Hampton) dal romanzo omonimo di quella vecchia - e brava - volpe di Ian McEwan. Però, attenzione, forse quest’ultima freccia nella faretra di Joe Wright, per inciso il più giovane regista ad aver mai aperto con un film la Mostra del Cinema di Venezia (e autore dell’ultima trasposizione di Orgoglio e pregiudizio) potrebbe rivelarsi per alcuni palati cinefili un po’ viziati un’arma a doppio taglio. Ad alcuni di loro, addirittura, Espiazione potrebbe risultare la conferma che le manie di grandezza del cinema, quando tenta di sfruttare il solco facile fornito dalla letteratura, portano ad esiti incerti, anche se, come in questo caso, mascherati in grandi, sontuosi paludamenti. Il punto debole del film è infatti la struttura narrativa, il che è solo apparentemente un paradosso: sulla carta infatti il peso delle parole e di "ciò che non succede" ma che è comunque raccontabile può costituire una differenza in termini di bilanciamenti, ma ovviamente la trasformazione in pellicola filtra impietosamente tutto ciò che non si può vedere, ed un impianto blindato quando lavora dentro un romanzo può risultare difettoso al cinema. Potrebbe essere proprio il caso di Atonement (questo il titolo originale), dove solo con enorme generosità si può dare il lasciapassare di sperimentazione ad una storia in cui la protagonista abbandona la vicenda dopo la prima metà per tornare nell’epilogo a raccontarci - letteralmente - il suo processo di trasformazione interiore, insieme alla rivelazione che buona parte di quello che abbiamo visto nella seconda metà dell’intreccio scaturisce dalla sua fantasia intrisa indelebilmente dai sensi di colpa per un peccato terribile commesso durante l’infanzia. Un peccato che separa due innamorati ponendo tra loro le sbarre della prigione e l’orrore di una guerra mondiale.
Espiazione ci porta per mano per un lungo detour, piacevole, è vero, ma ci porta comunque in giro. Lo fa con eleganza, regalandoci quegli acquerelli e quelle tele che, come si diceva in apertura, fanno gioire l’occhio, e nel frattempo cercano di distrarre la mente. Valga per tutti l’esempio emblematico ed eclatante di uno dei più ampollosi piani sequenza che ci ha regalato quest’anno Venezia 64, un desolante carosello tra le rovine di un luna park dopo l’arrivo delle truppe inglesi in Francia. Magnifico, lunghissimo e stiloso, con un unico difetto (madornale? veniale?): l’occhio di chi guarda è distolto dalla fibra drammatica della composizione per seguire il virtuosismo della macchina da presa. Il punto è che come spesso accade, la calligrafia in carta d’argento di certe pellicole dà luogo ad un piacere fugace, che non resiste nella memoria. Il dramma, che invece dovrebbe catturare la mente a lungo, viene scalzato via, divenuto poco più che un fondale.