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il Diaro di una tata
the Nanny Diaries, USA, 2001
di Shari Springer Berman e Robert Pulcini, con Scarlett Johansson, Laura Linney, Paul Giamatti

Alla scoperta di (n)Annie
recensione di Emanuela Andreocci



Scarlett Johansson, nei panni di Annie, si presenta come una ragazza ingenua e sognatrice, piena di ideali e, fresca di laurea, pronta ad entrare nel mondo del lavoro, proprio come vuole anche la sua mamma che prevede per la figlia una carriera brillante e ricca di soddisfazioni anche dal punto di vista economico.
A volte, però, il destino ha dei progetti ben diversi con i quali bisogna misurarsi e fare i conti. È così che Annie, dopo essere andata in tilt per una domanda apparentemente banale - "Dimmi: chi è Annie?" - durante quello che doveva essere il colloquio più importante della sua vita, scappa via in preda ad una forte crisi. Si ritrova così, sola e pensierosa, su una panchina al parco, meditando sul suo futuro e sulla propria vita. È qui che il destino - o meglio, un bambino di nome Grayer - le viene incontro, anzi, è proprio lei ad afferrarlo e a restituirlo alle cure della mamma. Il misunderstanding è immediato: durante le presentazioni - in questo caso vedere il film in lingua originale è indispensabile perché permette di cogliere tutte le sfumature dei dialoghi e i giochi di parole - la signora capisce non il nome di Annie, ma la sua professione. In un minuto, Annie-the-Nanny si trova sommersa da numerose offerte di lavoro: sembra che tutte le famiglie benestanti di New York abbiano bisogno di una tata per i loro figli.
Annie, che cerca una sua collocazione nel mondo, una sua strada da seguire, dopo aver parlato con diverse mamme, alla fine accetta di lavorare per la prima che aveva conosciuto al parco.

Il film si presenta come una vera e propria indagine antropologica, uno studio analitico con tanto di fermi-fotogramma per inquadrare i vari tipi umani e trasformarli, seguendo l’ottica della protagonista, in casi degni di essere studiati e, quindi, in immagini esposte al Museo di Storia Naturale, il luogo preferito del personaggio interpretato dalla Johansson. I suoi datori di lavoro saranno quindi chiamati gli “X”: fino alla fine, infatti, non riusciremo a scoprire il nome della mamma del piccolo Grayer; per quanto riguarda il padre, invece, la regia all’inizio si diverte a occultarne il volto per dar spazio alla fantasia dello spettatore. La commedia è dolce e piacevole, con alcuni cliché che non risultano noiosi, ma che anzi vengono avvertiti come un rimando a quello che è un classico per eccellenza: Mary Poppins. È alquanto evidente l’omaggio reso alla celebre tata quando l’insegna a forma di ombrello posta davanti ad un edificio si stacca e offre ad Annie un comodo passaggio per i cieli di Manhattan, passaggio che la ragazza accetta più che volentieri nonostante qualcuno, dal basso, le consigli di restare con i piedi a terra… Da non dimenticare è, inoltre, la battuta che la tata rivolge al bambino quando le dice che conosce la parola più lunga del mondo: Annie controbatte dicendo di saperne un’altra "supercalifragilistichespiralidoso"!
La storia, che non brilla di originalità, viene però sostenuta da alcune scelte registiche delicate che la innalzano di tono: oltre ai già citati fermo-immagine, si alternano riprese “realiste” alle proiezioni della mente e dei pensieri della protagonista; ogni tanto, infatti, la sua voce off si rivolge direttamente al pubblico che assiste alla messa in scena di quello che diventa il suo diario di campo per la scuola di specializzazione.
Il lieto fine è scontato, ma anche il sorriso dello spettatore.