Dark water

Madri e figlie
di Piero D'Ascanio

 
  id., U.S.A. 2005
di Walter Salles, con Jennifer Connelly, John C. Reilly, Ariel Gade, Dougray Scott, Tim Roth.


Il principale motivo d’interesse di quest’inaspettato affondo nel genere di Walter Salles, diciamolo subito, non stava certo nella genesi del progetto, ennesimo “ripescaggio” ad uso remake di un simpatico horror giapponese di un paio d’anni fa. Quel che invece stuzzicava noi cinefili dal cuore di tenebra era la possibilità di ritrovare uno dei nostri amori di gioventù di nuovo alle prese con le tinte forti abbandonate ormai dall’epoca di Phenomena: a quei tempi era solo il 1985, ma la quattordicenne Jennifer Connelly faceva già intravedere, appena sotto il virginale aspetto, la stoffa dell’autentica eroina dark. Peccato che poi, proprio quando sembrava fatta, l’autore di “Central do Brazil” ci metteva inopinatamente del suo, (quasi) riducendo lo spunto horror originale in un pretesto per imbastire un melodrammetto familiare; fortuna nostra, Salles dosava inaspettatamente bene le parti, e il film trovava un discreto equilibrio stilistico, anche aiutato da un paio di gustose “zampate” attoriali. Ma andiamo con ordine.

La vicenda di Dark Water – uscita in origine dalla penna, lo ricordiamo, di Hideo Ringu Nakata – si sviluppa all’interno di un fatiscente palazzaccio della periferia di New York, nel quale si trasferiscono una giovane madre fresca di divorzio e la figlioletta in età da asilo; per quest’ultima, la donna si trova in piena contesa d’affido con l’ex marito. La critica situazione familiare viene esasperata dal succedersi di eventi e personaggi man mano sempre più inquietanti, che metteranno a dura prova la già precaria stabilità emotiva della protagonista.

L’attrice che fu di Leone e Argento, prima della consacrazione hollywoodiana avvenuta con A Beautiful Mind di Ron Howard, impersona la giovane Dahlia, carattere perfettamente tarato sulle corde recitative più collaudate dell’interprete; nodo inestricabile di nervi sempre sul punto di saltare, figlia infelice prima che madre affettuosa – si veda il prologo del film - la Connelly rimane il punto di forza del film, anche e soprattutto una volta che Salles scopre le carte della sua scelta stilistica, tutta giocata in favore della deriva melodrammatica in luogo di quella più smaccatamente horror; dove si decide la discreta riuscita del film è proprio a questo bivio, dato che il partito preso del regista, gioco forza, sfuma l’idea all’origine del film proprio nelle sue tonalità più “soprannaturali”. Beninteso: è un elemento, quest’ultimo, che pure resta nel nostro remake – tutto sommato abbastanza fedele al prototipo – ma vi resta come inerte, quasi uno strumento spuntato nelle mani di un autore tutto preso dal calvario di una madre che lotta per sua figlia; che per lei poi il pericolo provenga dalle minacce dall’ex marito o dalle turbe emotive del solito spirito inquieto, questo appartiene già ad un livello subordinato; e come tale Salles lo gestisce. Il risultato è un oggetto cinematografico abbastanza ibrido, ma del quale si riescono a distinguere e apprezzare entrambe le anime, quella “nera” dell’idea originale e quella della rilettura “sentimentale”; infatti, laddove constatiamo l’ottima professionalità dell’autore nel governare la seconda, apprezziamo con piacere la sobrietà e la coerenza nel condurre la prima, tutta immersa in una quotidianità da “orrore suggerito” che non fa che esaltarne l’inquietante potenziale. Ci sentiamo in questo senso di tributare un plauso al lavoro di scenografia e di fotografia dispiegato su un inquadratura dal bel taglio panoramico: la resa filmica del palazzaccio di Roosevelt Island e dei suoi interni malsani è davvero notevole, e contribuisce in maniera decisiva alla creazione di un’atmosfera adeguata alla materia narrativa. Insomma, noi non ci lamentiamo; ma se il piatto non dovesse ancora soddisfare lo spettatore più critico, siamo sicuri che l’estro recitativo di un impagabile Tim Roth nei panni di uno scapestrato avvocato “ambulante”, gli risulterebbe alla fine come un equo risarcimento del prezzo del biglietto.