Broken Flowers

La ballata del funambolo immobile
di Adriano Ercolani

 
  id., Usa / Francia, 2005
di Jim Jarmusch, con Bill Murray, Jeffrey Wright, Sharon Stone, Tilda Swinton, Frances Conroy


Assistere finalmente alla proiezione di Broken Flowers ha un qualcosa che sa di destino ineluttabile. Già, perché pensando soprattutto agli ultimi anni della carriera di un Bill Murray al massimo delle proprie capacità, sembrava prima o poi impossibile non vederlo diretto da Jim Jarmusch; un primo, godibilissimo antipasto lo avevamo avuto in uno dei segmenti di Coffee & Cigarettes, ma la portata principale è senza dubbio questo lungometraggio premiato all’ultimo festival di Cannes con il gran Premio della Giuria.
A ben vedere, dunque, Jarmusch e Murray hanno nel sangue lo stesso cinema, composto di un equilibrio sempre precario su cui si muovono le direttrici sia della commedia che del suo senso rarefatto: l’ironia soffusa delle opere del cineasta, come lo stesso delle interpretazioni dell’attore, proviene sempre dallo scarto di senso, dal fraintendimento generato dalla difficoltà (o addirittura dalla mancanza) di comunicatività: questa frizione provoca poi una conseguente, voluta incertezza nel ritmo, che spesso porta alla densità delle loro migliori pellicole – basta vedere Ghost Dog o Lost in Translation per accertarsene con pienezza. La matrice precisa del cinema di Jarmusch e Murray, oseremmo definirlo il loro contro-istrionismo, sta quindi in questa cadenza assolutamente personale nello scomporre il tempo filmico e restituircelo sotto forma di pausa, di sospensione, di godibile non-senso (inteso come ricerca dello stesso).
Alla luce di queste considerazioni, appare evidente pensare che con Broken Flowers regista e protagonista si siano finalmente incontrati in una definitiva comunione di intenti e di poetica: vedendo il lungometraggio, ciò risulta quasi lapalissiano. Quello che però sconcerta un poco è che tale sintonia non sembra essersi alla fine amalgamata, ma invece sovrapposta a generare una sorta di “overdose” di poetica cinematografica. Rispetto ai migliori lavori sia di Jarmusch che di Murray, Broken Flowers sembra risentire di un eccesso di sardonica sobrietà, che ne mina lo sviluppo narrativo. Le premesse per una strutturazione solida della storia ci sono tutte: un buon incipit, l’idea precisa del percorso a tappe del protagonista, un possibile accenno ad una fine “aperta”. Il fatto è che però la storia si lascia sovrastare dall’accumulo di situazioni esilaranti se prese singolarmente, ma incapaci se messe insieme di dare continuità narrativa alla pellicola: tutti e quattro gli incontri di Don/Bill con le vecchie amanti sono altrettanti piccoli capolavori di cinema del fraintendimento, della confusione, dello scarto appunto tanto caro ai due; quello che manca però è lo sviluppo del personaggio, della sua storia personale; ad un certo punto sembra quasi che Jarmusch abbia di nuovo girato nuovamente quattro straordinari cortometraggi su un unico tema, ma che questa volta li abbia uniti attraverso una labile linea narrativa.
Uscire dalla visione di Broken Flowers completamente scontenti è a nostro avviso cosa assolutamente impossibile: vi sono almeno due o tre scene di cinema magistrale, diretto ed interpretato con puntualità disarmante: su tutte, vogliamo citare la stordente comicità trattenuta della scena della cena a tre tra Murray, la sua ex ed il marito di lei. E poi, per promuovere il film basterebbe godersi la carrellata di grandi attrici che, ognuna con la sua personale bravura, accompagnano il protagonista nel suo viaggio – che è più a ritroso di quanto non si comprenda in superficie.
Dall’accoppiata potenzialmente più fascinosa degli ultimi tempi ci saremmo però aspettati un lungometraggio più effervescente e carico di sorprese: ci siamo trovati invece di fronte ad uno spettacolo pur sempre di prim’ordine, ma che non sempre riesce a mescolare con coerenza un’idea precisa di cinema e la massima espressione della sua realizzazione pratica.