Apocalisse nel deserto
L'apocalisse astratta
di Seth Boccia


Nuovo cinema tedesco
  Lektionen in Finsternis, Germania, 1992
di Werner Herzog, documentario


La vita negli oceani deve essere un puro inferno. Un vasto, impietoso inferno di costanti e vicini pericoli. Un inferno tale che durante l'evoluzione alcune specie - fra cui l'uomo - sono scappate strisciando su piccoli continenti di terra solida, dove la Lezione di Oscurità continua.
Werner Herzog

Il cinema di Werner Herzog ha sempre abitato quella zona grigia che sta fra la finzione e il documentario. Come lui stesso dichiara nel punto cinque della famosa "Minnesota Declaration" sulla verità e i fatti nel cinema documentario, "ci sono strati più profondi di verità nel cinema, ed esiste una verità poetica, estatica. E' misteriosa ed elusiva, e può essere raggiunta solo attraverso la costruzione, l'immaginazione e la stilizzazione". Una volta "documentario" significava "cinema basato sui fatti" o "propaganda," o entrambe le cose. Ora forse lo stile prevalente è quello del cosiddetto "infotainment", l' "illustrazione promozionale", in cui prevale un utilizzo spettacolare e poetico del materiale documentario. Nei casi più interessanti, abbiamo dei documentari nati da un'esigenza creativa e sviluppati con l'energia e l'inventiva generalmente riservata al cinema narrativo.
Apocalisse nel deserto ha come protagonisti gli incendi dei pozzi di petrolio in Kuwait dopo la guerra del Golfo. Impostato nelle atmosfere come un post-atomico fantascientifico, è un film denso di inquadrature in cui il pianeta terra è irriconoscibile come tale: un intero mondo che esplode fra le fiamme, trasfigurandosi. Lektionen in Finsternis (letteralmente: "una lezione di oscurità") è un'elegia lirica e apocalittica che, con le sue visioni al ralenti di panorami desolati e di pozzi in fiamme, i silenzi dei sopravvissuti e lo straniante commento fuori campo di Herzog, riesce a creare un'atmosfera di orrore e disperazione con pochi, semplici elementi. Questa riuscita estetica e narrativa è ottenuta fondendo la forza impattante di immagini evidentemente provenienti da una realtà cronachistica, reale, accaduta, con la bellezza e l'espressività narrativa spaziale astratta ottenuta attraverso una lucida e calcolata costruzione dell'inquadratura e quindi dell'evento, pratica propria del cinema di finzione. L'ambigua, potente riuscita di questa fusione è ancora più affascinante tenendo conto che il regista ha fatto incendiare alcuni pozzi già spenti per poter ottenere riprese più spettacolari: "Il fatto crea la norma. La verità l'illuminazione" (Minnesota Declaration, punto 7).
Il controllo della macchina da presa su ciò che dovrebbe controllarla, il piegare la realtà ripresa alla propria visione autoriale, l'usarla per manipolare e provocare emozioni sono azioni che solo apparentemente trasfigurano il senso del termine "documentario", mentre non fanno che dimostrare come l'arte del cinema pur variando nei generi e negli obiettivi, utilizzi sempre gli stessi strumenti e la stessa passione per ricreare costantemente nuove realtà che riescano ad andare oltre "la semplice superficie della verità, la verità dei banchieri".

Articolo originariamente pubblicato su "Nonpermiopi" numero 6, autunno 2000.