l'Amore è eterno fin che dura

Divorziare da se stessi
di Stefano Finesi

 
  Italia, 2004
di Carlo Verdone, con Carlo Verdone, Laura Morante, Stefania Rocca


Innanzitutto, un riconoscimento a Carlo Verdone: nella folta schiera tuttofare (e tutta italiana) dei comici-sceneggiatori-registi, è stato e continua a essere quello con maggiore consapevolezza del mezzo cinema, dei ritmi della scrittura, quello che più concede agli altri attori, sfruttandone al meglio le potenzialità. Il problema de L’amore è eterno finché dura è lo stesso percepibile in altri suoi film degli ultimi dieci anni, ossia il fatto che proprio queste capacità lo pongano davanti a un bivio e Verdone non si decida a muovere a un passo. Il bivio, comune ad altri autori di derivazione cabarettistico-televisiva, tutt’al più teatrale, è quello consueto tra sketch e storia, macchietta e personaggio, tra il tempo del bozzetto e quello più ampio del cinema: già Verdone aveva saputo trovare una terza via nell’equilibrio funambolico e meraviglioso di Borotalco o Compagni di scuola, ma tale equilibrio andrebbe rinnovato negli anni, gli ingredienti andrebbero corretti affinché possano funzionare ancora con il passare inesorabile del tempo e andare d’accordo con l’evolversi sia dei costumi sociali sia delle stesse esigenze espressive del regista.
Quando egli ha scelto di ripercorrere la prima strada, quella pecoreccia, in un film come Viaggi di nozze, il risultato è stato indigeribile; la seconda strada, quella di una commedia sofisticata in senso pieno, articolata e significativa, Verdone la contempla imbambolato senza avere il coraggio di imboccarla, limitandosi, ormai da anni, a ripromettersi scelte audaci come girare un film solo da regista, senza ovviamente avere il fegato produttivo per farlo. È il tipo di strada che Allen, forte del trionfo di Io e Annie, ebbe la forza di battere ferocemente con Interiors, sfogando tutto il Bergman che si teneva dentro e togliendosi dal cast, pur essendo, come lo stesso Verdone, fisicamente identificato dal pubblico con i suoi film.
Per salvarsi, o il comico romano prende una decisione drastica più o meno simile, che lo redima da una serie di gag puntualissime ma ormai poco credibili, o riesce nel miracolo di cui abbiamo parlato, di un equilibrio nuovo tra la sua faccia (e il suo imperterrito bagaglio di tic) e un cinema più ricco e adeguato alla sua voglia di ispezione sociale, di cinismi agrodolci, di ritratti psicologici non banali. In fondo, si tratta dello stesso bivio davanti al quale indugia Gilberto, protagonista de L’amore è eterno finché dura, sospeso tra il desiderio della sicurezza matrimoniale e quello di nuove emozioni, tra le costrizioni della convivenza e la precarietà di un rapporto aperto: dopo la definitiva separazione dalla moglie Laura Morante, la sequenza finale ce lo consegna stabilmente appaiato con Stefania Rocca, ma i due vivono in appartamenti separati, uno di fronte all’altra (un po’ Woody e Mia, che hanno imposto lo standard, ma Allen torna anche per l’idea base del film, ricalcata su Provaci ancora Sam…). La scelta più salutare per il Verdone regista è in fondo tutta là: inventare un cinema in cui poter rinunciare a convivere con se stesso. Magari salutandosi ogni tanto dalla finestra…