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Ai confini del paradiso
Auf der anderen Seite, Germania / Turchia, 2007
di Fatih Akin, con Nurgül Yesilçay, Baki Davrak, Hanna Schygulla

Inarritu docet
recensione di Adriano Ercolani



Di solito l’evoluzione di un autore nella sua ricerca di un discorso estetico e poetico personale comporta in qualche modo la perdita della freschezza creativa delle prime opere. E questo non è sempre un male, soprattutto quando tale processo denota comunque una ricerca stilistica volta ad indagare con lucidità le potenzialità narratologiche e più propriamente filmiche del mezzo/cinema.
Pensiamo ad esempio ad Alejandro Gonzalez Inarritu - con cui il percorso appena iniziato di Akin e dei suoi film sembrano avere molto in comune - ed al passaggio dall’esordio di Amores perros al primo film americano 21 grammi. Alla spontaneità del primo si è sostituita la più “costruita” ma precisissima architettura drammatica dell’altro. Lo stesso sembra capitare col regista turco/tedesco: a ripensare la sanguigno e vibrante la Sposa turca difficilmente si poteva prevedere che Akin tornasse con un puzzle poliedrico e stratificato come questo; dove infatti il precedente, sontuoso melodramma lavorava sulla compattezza della storia e l’adesione della messa in scena ai due straordinari protagonisti, qui invece si assiste ad una narrazione spezzettata dal scansioni temporali sovrapposte - torna Inarritu…-, che vengono mostrate attraverso un occhio limpido ma di certo più distaccato. Già, perché è proprio la presunta “freddezza” dello sguardo che può essere imputata a chi cerca di muoversi dentro queste scatole temporali, e tale accusa non è a dire il vero del tutto ingiustificata: Ai confini del paradiso è un’opera affascinante e molto ben congeniata, ma sicuramente gli manca quell’afflato barocco che i più si aspettavano di trovare al suo interno. Ma non lasciamoci ingannare dalle aspettative disattese, perché il film funziona e sotto più di un aspetto. Prima di tutto le varie storie messe in scena da Akin sono tutte coinvolgenti e molto ben raccontate, soprattutto in una prima parte dove il dolore ed il senso di non appartenenza di questi personaggi sradicati dalla loro terra (prima di tutto mentale) è forte, quasi opprimente; se i sottotesti politici di alcune vicende potevano forse essere più presenti ed importanti, rimangono invece le psicologie sfaccettate e commoventi delle molte figure femminili che Akin tratteggia con grande cura e partecipazione - e qui ricordiamo ancora la magnifica Sibel de la Sposa turca. E poi c’è la regia pulita, accurata, mai didascalica nel suo essere sincera, che il cineasta mette al servizio di un gruppo di attori molto affiatati, su cui primeggiano la dolorosa vecchiaia di un’immensa Hanna Schygulla e la prorompente fisicità della scoperta Nurgül Yesilçay.
Premio per la miglior sceneggiatura all’ultimo festival di Cannes, Ai confini del paradiso conferma la bontà artistica di un autore desideroso di sperimentare le possibilità intrinseche ad un genere “aperto” come il melodramma. Il suo nuovo tentativo rappresenta un passo molto interessante verso direzioni sorprendenti: da Fatih Akin possiamo iniziare a pretendere che il suo cinema futuro possa rappresentare un ponte solidamente costruito tra l’anima dolorosa del genere e la raffinatezza più studiata della forma filmica.