intervista a Valeria Bruni-Tedeschi
Non ho altre emozioni che le mie
a cura di Massimo Raso

 
 
Parlando di un tuo personaggio, hai detto: "Ci sono sempre io - in qualche maniera - nelle donne che porto sullo schermo. Io sono come un disegnatore che facendo uno schizzo, accentua alcuni tratti rispetto ad altri." Mi puoi spigare come costruisci i personaggi che interpreti e che tipo di tecnica usi?
Ho imparato dalle mie esperienze che almeno per me non esiste una tecnica. In pratica non si impara mai: non è che dopo un po' di anni si sa fare qualcosa. Quello che mi sembra importante è adattarmi ogni volta al regista con il quale lavoro, seguire il suo modo di lavorare e portare il mio, per poi capire cosa può funzionare nella collaborazione. Da questa combinazione ogni volta nasce un nuovo metodo. Ho capito inoltre che è molto importante ammettere quello che si sta vivendo, se non si sa come andare avanti, se ci si sente nei pasticci, se ci si sente arrabbiati. Riconoscere se stessi, riconoscere i propri limiti e problemi porta inequivocabilmente ad una loro soluzione.

Quanto di te c'è quindi nei personaggi che interpreti?
Tutto, a parte che non ho vissuto quella storia. Non vedo cosa posso mettere d'altro, oltre me stessa, nel personaggio che interpreto. E' come se mi chiedessero se quello sullo schermo era il mio braccio o la mia mano: non ho altre braccia, altre mani o altre emozioni che le mie.

Cosa ti influenza nella scelta di un ruolo o di un film?
Il regista. Ho avuto la fortuna di incontrare persone con grande talento e questa è la cosa che mi eccita di più: l'intelligenza, il talento, il modo profondo di lavorare. Dopo c'è la sceneggiatura e il personaggio.

Nella tua carriera ti è capitato spesso di istaurare con i registi dei rapporti di lavoro che continuano nel tempo, per diversi film.
È molto prezioso per me potere instaurare un rapporto di lavoro che continua negli anni, perché con un regista c'è sempre qualcosa di nuovo, che si approfondisce di volta in volta. E' un lavoro che diventa importante nel tempo, il work in progress di una poetica. Non succede sempre, però quando è possibile è un po' la realizzazione di un mio sogno. Ho avuto la fortuna di lavorare con persone molto importanti per me, come Mimmo Calopresti o Noémie Lvovsky, e spero di potere continuare questo rapporto.

Hai spesso privilegiato registi alle prime esperienze ed hai investito in opere prime senza avere la sicurezza di grandi nomi.
Sì: ci può essere un incontro eccitante anche su un primo film. Mi ricordo l'incontro con Mimmo per La seconda volta: tutto quello che mi raccontava sul film, quello che voleva fare, era completamente nuovo. Io non avevo mai visto i suoi corti ed avevo solo letto la sua sceneggiatura, che mi era piaciuta, ma non è stato quello ad avermi convinto: il suo modo di parlare del film, il suo modo di aver voglia di fare cinema hanno condizionato la mia scelta.

Hai appena finito di girare il nuovo film di Mimmo Calopresti...
Sì, ho una piccola parte. Il film si chiama La felicità non costa niente, sempre geniale per i titoli... Nel film lui è protagonista al fianco di Francesca Neri. Io sono la moglie di Vincent Perez, una donna che scopre di essere in crisi non credendo di esserlo. Come quelle persone che pensano di poter dare lezioni agli altri, e poi scoprono che la loro vita non è così solida come credevano. E' una donna che consapevolmente decide di essere superficiale, fino a che la vita la obbliga a scontrasi con la realtà ed a guardare il cuore delle cose.

Esce in questi giorni al Cinema Voci, un film di Franco Giraldi tratto da un libro di Dacia Maraini. Come mai hai deciso di interpretare questo ruolo?
Non avevo mai letto prima un libro di Dacia Maraini. Mi è piaciuta molto la scrittura, ed ho incontrato un personaggio, Michela, che mi ha subito commosso. Un personaggio che esiste, come qualcuno che si incontra e che è reale, con tutti i suoi misteri, la sua solitudine i suoi conflitti. Poi questo personaggio è fluito nella sceneggiatura in modo naturale, molto fedele all'intimità del libro, anche se alcune cose sono cambiate. E' un personaggio che non ha avuto bisogno di essere ricostruito, ma solo interpretato.

Stai per debuttare alla regia con un tuo film, ci puoi accennare qualcosa?
Poco, perché sono in un periodo di preparazione e non vorrei vendere la pelle prima dell'orso. È un film che ho scritto con Agnes De Sacy e in cui reciterà anche Mimmo Calopresti. Il titolo per ora è Nel regno dei cieli ed è prodotto da Paulo Branco, soprannominato "l'autoambulanza del cinema francese". È un film intimista, che parla di una famiglia nei giorni che precedono la morte del padre.

Come è nata l'idea del film e come mai hai deciso di cimentarti nella regia?
Avevo partecipato un po' alla sceneggiatura de La parola amore esiste, insieme a Mimmo, e avevo in parte aiutato alla stesura di qualche dialogo. Lì mi è venuta voglia di scrivere: all'inizio erano degli appunti e poi piano piano sono diventati una storia. Poi i personaggi si sono delineati ed è nata una sceneggiatura, poi la sceneggiatura bisogna pur farla, poi non potevo scriverla che io, perché ero io che la conoscevo meglio, e poi non sono riuscita ad immaginare qualcun altro che la recitasse... Per cui alla fine faccio tutto io!

Cosa ti aspetti dal lavoro di regia e dalla macchina da presa, un mezzo espressivo così diverso da quello della recitazione?
Non è che mi invento regista così: semplicemente immagino questo film come un film d'attore. Faccio il film con la mia esperienza di attrice e farò sì che succedano delle cose fra i personaggi prima di pensare a dei movimenti di macchina o a dei virtuosismi: la recitazione sarà l'estetica di quest'opera. Ad ogni modo mi sono circondata di molti tecnici e professionisti del cinema che stimo, persone che mi aiutino e guidino nell'impresa. Ma nel film cercherò solo di raccontare delle situazioni fra i personaggi nel modo più semplice possibile.

Sono in uscita altri film che ti vedono impegnata come attrice?
Ho finito a dicembre un cortometraggio girato da Bernardo Bertolucci che fa parte di un progetto più ampio, cui partecipano diversi registi, ognuno con un corto della durata di 10 minuti. Il titolo di ogni corto sarà Ten Minutes Older, "dieci minuti più vecchio". E' stata un'esperienza molto formativa. Sto anche girando una commedia in Francia, si chiama Ah, si j'étais riche!, opera prima di Michel Munz. Interpreto un personaggio che cerca di essere felice, non nevrotico, ma con le sue follie.

Come ti trovi a recitare in un ruolo comico, lontano dalla ricerca su personaggi difficili e intensi che contraddistinguono la tua carriera?
Non penso esistano persone senza contraddizioni, senza dolore, anche in una commedia - forse ancora di più in una commedia. E' il dolore che da il conflitto, l'insoddisfazione. E' l'inadeguatezza delle persone che le rende comiche: un personaggio inadeguato fa ridere gli altri ma per se stesso è amaro, è penoso. La superficialità non è solo il vuoto o la mancanza di approfondimento, ma la scelta consapevole di non lasciarsi suggestionare dalla vita, una scelta che in alcuni casi, soprattutto quando significa rinunciare al dolore e alla sofferenza, mi commuove.