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Torino Film Festival 25:
Exodus e the Railroad


Fenomenologia del mancato incontro
Primo Piano di Anna Maria Pelella



^ Exodus di Pang Ho-Cheung

Al 25° Torino Film Festival due film con un unico tema: il mancato incontro, raccontato in storie di protagonisti i cui sentimenti negati e pertanto vitali al massimo, affollano il racconto filmico che, con modalità diverse ci viene portato alla coscienza senza mai spiegare nulla. Si tratta di storie comuni e un po’ abusate ma che, in mano ad abili registi ed altrettanti attori indovinati, raccontano un altro universo, parallelo alla storia e mai scoperto fino in fondo.

In Exodus, di Pang Ho-Cheung, il fulcro è la paranoia post femminista del maschio contemporaneo, ambientato nella Hong Kong di oggi, dove si consuma l’incubo castrante della vendetta sotterranea di quelle che si vorrebbe compagne amorevoli o madri accoglienti, ma che si scoprono assassine della peggior specie, quella delle vendicatrici. Il guardone che apre le danze racconta una poco credibile storia di cospirazioni femminili ai danni del povero maschio, il quale come vuole la tradizione continua a sottovalutare, sia le donne che la minaccia di cui esse si fanno portatrici. Ma quando cominciano a morire in modi piuttosto strani, un certo numero di uomini, il detective incaricato, anch’egli maschio e pertanto vittima potenziale, si trova di fronte al dilemma di sempre: ignorare o indagare le motivazioni del disagio che le donne stanno esprimendo? Ovvio che la strada che sceglierà di seguire sarà la stessa che intere generazioni di uomini hanno percorso prima di lui, ignorare il problema rifugiandosi tra le braccia amorevoli di una donna. Peccato che sua moglie faccia parte della cospirazione e che tradirla non sembra una scelta furba, da che esiste il mondo le donne accumulano torti maschili e li memorizzano, facendoli poi pagare con gli interessi, ma il prezzo richiesto qui è superiore alla possibilità di pagamento di chiunque.
La storia si dipana lenta e sgranata come un incubo e ci racconta il nascere di questa degenerazione, frutto di una mancata comunicazione tra i due sessi, che si trovano sui lati opposti di una barricata senza mai capire bene il perchè della lotta. Il tutto finirà nel peggiore dei modi, con un alienazione che motiva l’intera freddezza del messaggio: le donne non sono le mamme amorevoli di cui tutti conserviamo il ricordo o le compagne accoglienti che gli uomini si sono scelte, sono degli alieni mentali, che uccidono per delusione e per stanchezza, e non c’è nulla che le può fermare perchè quello che esse chiedevano è andato perso da tempo, e neanche loro stesse ricordano più cos’era.

The Railroad, del coreano Park Heung-sik, racconta invece una storia quotidiana solo apparentemente meno preoccupante della precedente, Man Soo e Hanna non si conoscono, e non si conosceranno davvero neanche alla fine della storia, passata interamente a negare i propri sentimenti e a piangere per il dolore che la negazione infligge a chi non ne è consapevole. Il compagno di Hanna è sposato e sua moglie è un tipo combattivo, mentre l’amore senza nome di Man Soo morirà sotto il treno di cui lui è conducente, senza che nemmeno lui ne sappia nulla. Una tormenta di neve ed un treno al capolinea saranno il pretesto che la storia propone per riscattare un’esistenza di bugie e solitudine, ma i due non coglieranno fino in fondo l’occasione, dal momento che le bugie sembreranno ad entrambi il modo migliore per rapportarsi all’altro. Ecco quindi che assistiamo alla rappresentazione più fredda possibile di un altro incontro mancato, quello tra due persone che passano parte della notte chiusi nel bagno a piangere per non mostrare all’altro la propria sconfitta. Ad un certo punto della notte una parte delle bugie verrà smentita e alcune delle cose realmente accadute sostituiranno frammenti del racconto di sè che ciascuno dei due protagonisti offre all’altro, ma non sarà abbastanza per un incontro, il tutto risulterà solo il motore per l’avvio di un cambiamento fuori scena e fuori tempo massimo. I binari paralleli su cui si svolge l’intera storia fanno da metafora dello stato dei sentimenti nella Seoul di oggi, mentre il binario morto che offre l’occasione di incontro ai due protagonisti, è solo la rappresentazione della direzione che due vite condotte all’insegna della negazione possono prendere nel momento in cui il dolore prende il sopravvento.

In tutti e due i racconti appare in primo piano il problema della comunicazione, anzi della mancanza della stessa a favore di un conflitto che, nel primo caso è esterno e quindi visibilissimo e dotato di una connotazione più sociale che personale, mentre nel secondo film è più interiore e pertanto meno visibile se non a sprazzi nelle pieghe di un racconto che parla di storie di cui non ci dice tutto quello che ci sarebbe da sapere. Il male che affligge i due universi, la Seoul e la Hong Kong di oggi, è quello comune a molti altri paesi e pertanto travalica le barriere culturali, l’unica differenza sostanziale trapela dalla narrazione, che qui rimane fredda come a risaltare il secondo e più grosso punto di differenza con l’alienazione di casa nostra, la mancanza di speranza circa il futuro che ognuno costruisce per sè. Ed è per questo motivo che tutti e due i film hanno un valore superiore alla somma delle elevate competenze tecniche che li compongono, il racconto lascia quell’amaro in bocca che sa molto di realismo, merce assai rara al di fuori di un ambito culturale come quello asiatico, da queste parti abbiamo ancora l’illusione televisiva di un lieto fine, che invece di istillare speranza per il futuro dei nostri incontri, ce li fa pretendere perfetti e patinati come solo le cose finte e televisive sanno essere.