intervista a Mohsen Makhmalbaf
Bloccati nella loro antichità
di Mamad Hagighat

 
 
Viaggio a Kandahar dev'essere il primo film non documentaristico sull'Afghanistan girato dopo molto tempo. Come ha potuto realizzare questo progetto?
Sono stati realizzati dei documentari sul confine Pakistan-Afghanistan e anche nel nord del paese, prima governato da Ahmad Shah Massoud... Io stesso ho girato Bicycleran (in Italia Il ciclista, ndr) nel 1987, la storia di un esule afgano sul confine del nostro paese. 250 anni fa, l'Afghanistan apparteneva all'Iran. A causa della guerra con l'Unione Sovietica negli anni ottanta e alla conseguente ascesa al potere dei Talebani, sei milioni di afgani sono fuggiti dal proprio paese e due milioni e mezzo di loro si sono rifugiati in Iran. Abbiamo continui contatti con loro nella nostra vita quotidiana. Fanno gli operai... Un giorno è venuta a trovarmi una giovane donna afgana rifugiata in Canada. Aveva appena ricevuto una lettera disperata da un amico che voleva suicidarsi a causa delle crudeli condizioni di vita a Kandahar. Voleva tornare ad aiutare il suo amico a tutti i costi, Mi chiese di andare con lei e riprendere il suo viaggio.

È andato con lei?
No, ma in seguito entrai segretamente in Afghanistan e fui testimone delle drammatiche condizioni di vita in cui versano i suoi abitanti. A quell'epoca ho cominciato a fare delle ricerche, ho analizzato nel dettaglio le migliaia di pagine di documenti ufficiali sulla situazione economica, politica e militare... Inoltre, ho letto testi letterari e guardato documentari. Ma il viaggio di quella donna afgana a Kandahar è rimasto alla base della sceneggiatura. Ovviamente, ho pescato anche dalla mia immaginazione e da tutte le informazioni che ho potuto raccogliere. Nel mio film l'amico è diventato la sorellina.

Gli altri personaggi sono reali o immaginari?
Virtualmente esistono tutti. Il militante americano che comincia a dubitare profondamente della situazione, per esempio.

Che cosa rappresenta per lei Nafas, il personaggio principale?
È il simbolo della donna afgana che ha scoperto di poter vivere in Canada una vita migliore. Vuole andare a casa, ma non si sente come la donna afgana media, che per gli uomini è soltanto uno dei tanti membri dell'harem. Nafas è un nome afgano che significa "respirazione". Il burqa impedisce alle donne di respirare e di essere libere.

Per quanto riguarda il suo metodo di lavoro, quando ha deciso che forma avrebbe avuto il film?
Questo film è come una guida di viaggio. La forma si è imposta mentre scrivevo la sceneggiatura e si è evoluta durante. Per esempio, la scena delle nozze è stata inventata sul posto. Quando si guardano queste donne avvolte dai loro burqa, c'è un'armonia estetica esteriore, ma all'interno, sotto ogni burqa, una donna viene soffocata. È una strana contraddizione. Poiché non hanno diritto di mostrare la propria bellezza fisica, la sostituiscono con la bellezza degli abiti

.A tratti il suono e perfino il modo di girare, verso la fine del film, ci ricordano certe opere di Pasolini...
Quei canti mormorati, che a noi sembrano strani per un matrimonio... Non avevo mai sentito dei canti così tristi per celebrare un matrimonio.

Come spiega il fatto che questo paese, con una civiltà così antica, sia caduto oggi nel più totale oscurantismo?
Gli afgani sono rimasti bloccati nella loro antichità. Come lo shah Reza in Iran negli anni trenta o Ataturk in Turchia, Amanoullah ha cercato di far progredire il paese, ma ben presto si è dovuto scontrare con un'enorme resistenza religiosa. Si potrebbe dire che questo paese sia stato vaccinato contro la civiltà moderna! Ho condotto uno studio molto approfondito su questo tema, che ho intenzione di pubblicare con il titolo Afghanistan, un Paese senza immagini. All'inizio del XXI secolo, i talebani hanno ancora un problema con le immagini! Il cinema non esiste, hanno perfino fatto sparire la televisione. I loro quotidiani non pubblicano immagini. Fare fotografie o dipingere è considerato "impuro". La musica è proibita. Le scuole femminili sono state chiuse. Le ragazze non hanno alcun diritto, neppure ai bagni pubblici! Nel '96 i talebani ordinarono che una grande biblioteca a Katoul, contenente 55.000 libri, venisse bruciata fino alle fondamenta. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, un milione di afgani oggi rischiano di essere uccisi, senza contare i milioni di persone che hanno perso le gambe a causa delle mine. Il mondo è più angosciato dalla distruzione di un Buddha di pietra che dal destino di questi esseri umani.

Intervista pubblicata per gentile concessione della Bim distribuzione