Billy Wilder

Il cinema in maschera
di Luca Perotti


Billy Wilder
 
L'approccio di un film hollywoodiano classico verso il proprio pubblico passa attraverso l'ausilio di una serie di cliché: dal lieto fine alla presenza pervasiva di star carismatiche, dalla cruciale trasparenza del montaggio alla puntualità della sceneggiatura. Componenti fondamentali che attirano ma allo stesso tempo deviano l'attenzione dai significati nascosti tra le pieghe dei codici regolarmente rispettati, attraverso l'uso dei quali molti registi dell'età dell'oro del cinema americano hanno operato un discorso profondamente simbolico.
Billy Wilder ha attivato esattamente questa linea programmatica, soprattutto nel territorio sacro della commedia, da sempre un genere che equivale ad una inoppugnabile fortezza dell'intrattenimento ma anche a ricettacolo-ombra di un'analisi sociale e di costume solitamente suggerita e agevolmente percepibile. Wilder è riuscito a scavare ancora più in profondità, a spingersi oltre, senza che nessun inquisitore sia mai riuscito a scovare un elemento dissonante dalle censure del periodo.
Per i cultori del genere, ad esempio, film come Irma la dolce o Quando la moglie è in vacanza risultano assolutamente godibili soprattutto in virtù della costruzione del congegno narrativo; ma ad una visione non superficiale, all'interno di tali film come in quasi la totalità di quelli girati dal regista viennese, è possibile riscontrare tematiche quali la perdita d'identità, la critica corrosiva verso la classe borghese, la frustrazione sessuale, il ricorso obbligato, talvolta involontario, alla maschera come strumento di sopravvivenza (o al contrario di annullamento) imposto dalla società capitalista.
Pur nell'impossibilità di prendere in considerazione la complessità dei motivi indagati da Wilder in maniera esaustiva, si possono riassumere questi temi con un breve excursus trasversale ripercorrendo acronologicamente e con una, spero, perdonabile approssimazione la sua filmografia peraltro facilmente divisibile in tre grandi periodi: Il periodo Brackett dal nome del suo primo cosceneggiatore, che va da Frutto proibito (1941) a Viale del tramonto (1950) fatta eccezione per La fiamma del peccato (1944 - sceneggiato insieme a Raymond Chandler); seguito da un intermezzo di varie collaborazioni dal 1951 (L'asso nella manica) al 1957 ( Testimone d'accusa) per poi proseguire da quel momento in avanti con la collaborazione preziosa di I.A.L. Diamond.
  Il lavoro di Wilder è un lavoro di occultamento continuo e a vari livelli. La regia dei suoi film non è mai vistosa, non opera mediante virtuosismi, né ricami fotografici o ricerca di enfasi. Bensì è convenzionale, mimetizzata, proprio come le tematiche da lui investigate, scopribili solamente ad una analisi dei risvolti dissimulati, e ciò sancisce una simbiosi robusta tra la struttura formale dei suoi film e il piano connotativo che ne costituisce l'anima oscura.
I dialoghi, le trovate, i meccanismi narrativi sono impeccabili; sia la leggerezza delle sue commedie, che il rigore dei suoi drammi spingono tuttavia ad effettuare una lettura "al piano di sotto" della storia narrata, a esplorare i personaggi e le loro azioni in un'ottica simbolica.
Non si tratta comunque di una invisibilità totale e inafferrabile poiché Wilder offre delle indicazioni, dissemina tracce. Ad esempio, gli accenni erotici di molti suoi film (la velata impudicizia di Shirley Mclaine; la maliziosità camuffata di Ginger Rogers), gli svariati ammiccamenti, così come l'ostentata assenza del argomento sessuale sono in realtà indice di una presenza soggiacente dello stesso, un suggerimento ad analizzare l'inconscio del film.
Wilder, quindi, oltre a raccontare una storia è sempre intenzionato a "non-raccontarne" un'altra che però è costantemente presente davanti ai nostri occhi. Soprattutto le commedie (a cui Wilder si dedica completamente dal 1957), strutturate su tutti gli stilemi classici: equivoci, gag, lieto fine stereotipato, sono una giustificazione, una maschera (!) dietro alla quale si cela il lucido cinismo del regista. I doppi sensi e le situazioni audaci sono minimizzate dal riso, messe in ridicolo con un colpo di coda conclusivo che le rende apparentemente innocue ma che non possono scalfire il sostrato di ambiguità fin lì sollecitato. L'espediente del travestimento è sempre stato un mezzo fecondo per innescare la componente comica ma rinvia al contempo e per forza di cose allo snarrimento di identità, all'annichilimento della propria personalità e all'angoscia del rimosso.
A qualcuno piace caldo (1959) rappresenta uno degli esempi emblematici del discorso accennato finora.
Ogni elemento risulta camuffato in questo film; ogni tassello del mosaico ha un duplice significato. Pensiamo all'ambivalenza degli oggetti: la sequenza iniziale con la bara che nasconde il whisky; la camera mortuaria che si rivela un night club dove servono alcol(a sua volta ordinato come caffè); la torta di compleanno che cela un assassino. Ma sono soprattutto i personaggi, le loro azioni, il senso della loro presenza nel contesto raffigurato a costituire il motore del puntiglioso cinismo wilderiano.
Tra tutte le coppie presenti nel film, la principale è quella formata dai protagonisti: Jack Lemmon e Tony Curtis, costretti a mascherarsi da donna per sfuggire ai pericolosi gangster dopo aver assistito ad una scena proibita, ovvero l' uccisione a sangue freddo di cui sono diventati incolpevolmente dei pericolosi testimoni oculari.
La scena proibita in questione è più di un vago fantasma freudiano della scena primaria - l'osservazione incauta e (in)volontaria dei propri genitori colti nell'atto sessuale. Un trauma che può creare un effetto destabilizzante e a cui può seguire appunto un travestimento o una fuga, i quali simboleggiano in realtà lo scontroso riaffiorare di elementi rimossi come, nel caso in questione, l'omosessualità latente o l'impotenza.
Entrambi i protagonisti, entrando a far parte di un'orchestra tutta al femminile, perdono la loro identità maschile, ma in realtà ne riacquistano un'altra, più prossima a quella autentica, a quella che veramente gli appartiene. Jerry (Jack Lemmon), non si limita a femminilizzare il suo nome da uomo ma lo cambia del tutto in Dafne (L'attenzione di Wilder ai minimi dettagli si coglie anche nella scelta del nome di una sacerdotessa che, nella mitologia, partecipava con altre donne a cerimonie da dove era esclusa la presenza maschile).
Il personaggio sceglie un nome del genere per poter essere finalmente e inconsciamente ciò che non è mai potuto essere. Approfitta perciò della "maschera" affidatagli dal Caso e la amplifica per poter finalmente svincolarsi dalle sue angosciose rimozioni.
L'omosessualità latente di Lemmon/Dafne viene definitivamente accettata quando Curtis/Joe lo afferra per il bavero con l'intento di appropriarsi dell'esclusivo diritto di corteggiare Marilyn Monroe (Zucchero). Da quel momento in poi Dafne diventa donna a tutti gli effetti: corteggiata dal vecchio miliardario Osgood, perde persino simbolicamente la verginità quando viene molestata fuoricampo in ascensore; nell'inseguimento finale la macchina da presa indugia sui suoi piedi che hanno mantenuto i tacchi a spillo; balla ricoprendo il ruolo femminile con trasporto, e decide di accettare la proposta nuziale di Osgood il quale, alla fine, con la celebre battuta "nessuno è perfetto!" la autorizza a continuare ad essere donna nonostante sia mascherato da uomo.
Lo stesso Jerry sceglie la via della finta (?) impotenza per sedurre Zucchero spacciandosi per il petroliere Shell (shell=conchiglia=simbolo femminile).
Entrambi fuggono da Zucchero pur inseguendola, perchè si mettono nelle condizioni di non poter agire: uno mantenendo la sua femminilità acquisita; l'altro prodigandosi in una spirale di camuffamenti (uomo/donna/petroliere) senza mai mettersi nelle condizioni di compiere l'atto.
E il finale standard hollywoodiano, perfetto esito di una brillantissima commedia, non intacca il sottofondo di forte ambivalenza: tutti gli elementi presenti nel film, umani o inanimati, vanno incontro ad uno spossessamento del proprio ruolo e della propria identità.
Pensiamo inoltre allo sdoppiamento di personalità in Irma la dolce (1963) in cui Nestor, compagno della prostituta Irma, per arricchirla e convincerla ad interrompere la sua professione, si trasforma in un finto miliardario di cui la ragazza finisce per innamorarsi, provocando la gelosia di Nestor verso se stesso, e la perdita di centro della propria identità.
Oppure a L'appartamento (1960) dove il protagonista Bud Baxter cedendo la propria casa ai suoi superiori per incontri galanti si autocostringe a vivere fuori dalla propria dimora, cioè fuori da se stesso, perdendo la sua identità di soggetto, giungendo cioè ad uno dei maggiori punti di degradazione, conseguenza di una mentalità borghese, dello stile di vita aziendalista e patetico dell'uomo medio americano radicato nella giungla urbana e soggetto molte volte in Wilder di una critica indiretta, ma arguta e severa, spesso grazie alle celebri performance di Jack Lemmon, interprete ideale e idealizzato proprio dell'americano medio (ma sarebbe più corretto estendere la definizione a "tipico borghese occidentale")
Richard Sherman (Tom Ewell), il protagonista di Quando la moglie è in vacanza (1955), allo stesso modo, indica il prototipo di una classe sociale per la quale la famiglia o il lavoro sono divenuti feticci più che valori, un prototipo che persevera nello spolpamento della propria personalità e del proprio ruolo sessuale.
Quando la moglie parte per le vacanze insieme al figlio, Sherman rimane solo e con le circostanze favorevoli (compresa la disponibile Marylin Monroe come vicina di casa) per sbrigliare il proprio burrascoso desiderio sessuale ma evita di farlo. Non per un rifiuto dell'adulterio, nemmeno per rispetto del valore del matrimonio (queste ragioni superficiali sono il contentino fornito da Wilder al pubblico dell'epoca) ma per una perdita assoluta di identità sessuale che non può far altro che sfociare nell'impotenza o nell'affidamento totale della soddisfazione delle pulsioni primarie all'immaginazione - anzi all' Immaginario di cui Marylin costituiva all'epoca la massima icona.
Il borghese medio si avvia talmente verso una personalità dettata dalle convenzioni che smarrisce gli istinti teoricamente immutabili e si frustra nel mantenimento delle convenzioni stesse (il matrimonio, l'impiego, ecc.) alimentando la propria non-identità.
L'unica via d'uscita da questa prigione sembra quella intrapresa dal padre di Armbruster jr. (Jack Lemmon) in Avanti! - Che cosa è successo tra mio padre e tua madre - (1972). Contro la maschera borghese e moralistica indossata nella quotidianità, egli se ne sceglie un'altra, di opposizione, di libertà, in un altro paese e all'oscuro di tutti, compreso il figlio che quando scopre la seconda vita del padre defunto vede disgregarsi gran parte dei valori su cui aveva fondato la sua esistenza.
Quando però intuisce il gioco del padre, ne segue le orme e si dota anch'egli di una maschera analoga, consapevole che ciò rappresenti l'unica possibilità per preservare la propria fantasia anche se non completamente, perchè il legame con il proprio ruolo borghese, questa è la convinzione spietata e cruciale per Billy Wilder, costituisce un punto di non ritorno, un'infezione incurabile che produce un irreversibile annullamento dell'identità e da cui ci si può svincolare solo temporaneamente con un atto estremo di ulteriore, segreto camuffamento.