Crash

Doppia visione
di Luca Persiani e Adriano Marenco

 
  id., Canada / GB, 1996
di David Cronenberg, con Rosanna Arquette, Deborah Kara Hunger, Holly Hunter, Elias Koteas, James Spader
 

De-gen.de.r.e Cinema
di Luca Persiani

In che modo si fa sesso quando, in realtà, non si sta facendo sesso l'uno con l'altro? Mi sembrava giusto che entrambi gli attori guardassero nella macchina da presa, e non si guardassero in faccia.
David Cronenberg

Degenerazione
Se il sesso è un'invenzione, un gioco prima mentale che fisico, Crash, sia il film che il romanzo di James G. Ballard da cui è tratto, è la messa in abisso di questa invenzione. Intrappolati nella passione fredda di un contatto col metallo e la macchina, i protagonisti del film devono passare attraverso una spaventosa stratificazione di interfacce prima di attuare una comunicazione sessuale interpersonale. Dalla fantasia all'eccitazione, l'azione della carne non si risolve sui materiali e le superfici della carne, ma sui materiali e le superfici delle macchine. Metallo, plastica, pelle, legno, cuoio, gomma: un campionario di feticismo industriale soffocante e spietato. L'automobile come esoscheletro erotico, come giocattolo improprio, scatena una serie infinita di violazioni della carne che a quest'ultima imprimono una apparente mutazione. Apparente, perché in realtà è una deformazione, un collasso che porta alla degenerazione: l'apertura di ferite create dalla visionarietà di una fantasia assediata da macchine, città, autostrade e motori. Un assedio che non si risolve se non con l'imposizione di questi elementi, sintetici e alieni, come nuovi organi inevitabili, non integrabili. La violenza dello scontro, la sua freddezza e la sua completa amoralità è una liberazione nella sua pura meccanicità: è sesso senza altre implicazioni, senza mediazioni culturali o tabù. Gigantesco e inumano, è sesso impossibile in cui i protagonisti dell'atto non si guardano: guardano di fronte a loro o nella macchina da presa, senza un reale contatto reciproco o con lo spettatore, in uno spaventoso esercizio immaginativo la cui freddezza è come l'urlo di uno scontro autostradale improvviso, insensato, definitivo.


Gender, Genre
Se il corpo non muta ma si deforma senza possibilità di accoglienza, in Crash è il concetto stesso di genere sessuale (gender) ad essere sottilmente messo in questione. Che tipo di orientamento sessuale sottende ad un rapporto con un'automobile? Impulsivamente si potrebbe rispondere che l'essere umano è in una posizione di passività, sottomissione al metallo e alla plastica come strumenti di penetrazione. Ma la creazione calcolata di fratture, feriti e cicatrici perseguita da Vaughan (Elias Koteas) ha più il sapore di un oscuro tentativo di riprogettazione dell'identità sessuale dell'individuo attraverso strumenti chirurgici non troppo raffinati ma enormemente efficaci. Lo scontro è una vera e propria procedura di riassegnazione del genere, e i crashers sono un gruppo di transessuali che si auto operano con dei bisturi privi di filo e precisione, che sfrecciano sull'asfalto. La transizione è verso un genere del tutto nuovo, non più femminile o maschile o in qualsiasi punto fra le due definizioni esatte, ma fatto di organi inutili, distruttivi che non si integreranno mai col corpo ricevente. Ed è proprio il rigetto che i seguaci di Vaughan cercano, come l'obiettivo di chi assume droga è godere degli effetti collaterali della sostanza, ossia dei risultati dell'intossicazione sull'organismo. Intossicati dalle macchine ricavano un piacere inventato in cui i nuovi organi sessuali corrispondono al piacere stesso. Il mezzo è il messaggio, la riassegnazione dell'identità sessuale è in sé stessa la realizzazione di una fantasia erotica. Lo scontro è il punto d'arrivo, la maturazione di una identità che assolve al suo compito una volta raggiunta. E questo nuovo genere sessuale dei personaggi, che non serve loro per sintonizzare un'identità mentale con una fisica e quindi vivere meglio, ma piuttosto per terminare se stessi nel piacere, è anche un nuovo genere (genre) cinematografico. Crash è un film d'arte, d'autore, un erotico estremo, un exploitation, un documentario sulle ferite da scontro, un Crash Test Film, un esperimento narrativo di transizione continuamente in movimento da ognuna di queste forme all'altra, senza pausa e termine. Una sintesi sfuggente, un colpo d'occhio unico e molteplice, variamente interpretabile all'infinito. Più de Il Pasto nudo, che è l'impossibile necessità di raccontare in soggettiva una visione delirante rimanendo però lucidi e coscienti ("l'attimo in cui ognuno vede cosa c'è sulla punta della forchetta"), Crash è un esperimento irripetibile per la sua carica di iperrealismo straniante, la sua essenza di oggetto impossibile ma perfettamente a fuoco, la sua identità sessuale imprecisabile ma dalla forza chiara e coerente.


Erotismo Speciale Meccanico
La visionarietà di Crash è puntuale anche perché la messa in scena si situa in un momento molto preciso di sconvolgimento di alcune modalità rappresentative del cinema. Nel passaggio tortuoso e doloroso fra l'utilizzo di effetti speciali meccanici, basati cioè su un'illusione fisicamente ricreata per poi essere ripresa dalla mdp, e quello massiccio di digitali, si rivela con precisione inedita, per contrasto fra gli esiti delle due esperienze, una caratteristica fondamentale dei primi. La loro inevitabile fisicità, a volte anche poco credibile, restituisce un valore aggiunto rispetto al mero raggiungimento dell'illusione: un nuovo livello di carnalità. Ancora una volta, il lattice, la gomma e tutti i mezzi per raggiungere l'imitazione dell'organico sono comunque la creazione di una nuova carne e, quindi, di una nuova sessualità e di un nuovo erotismo. Com'è stato già notato altrove, l'effetto speciale meccanico porta con sé un preciso, disturbante erotismo originale, programmaticamente finto e portatore di un'ulteriore stratificazione di senso: è la finzione che deve simulare una realtà credibile a prescindere dalla plausibilità della forma, mentre a sua volta stimola una fantasia alternativa e ugualmente potente. Lo spfx digitale, invece, tende a liberarsi della pellicola appiccicosa e screpolata del materiale modellato fisicamente per acquisire una patinatezza assoluta, anche e soprattutto quando tenta felicemente di riprodurre la carne o l'organico. E' una perfezione estrema che lascia lievemente distanti, un'esattezza che manca dello stupore della realizzazione, del "come avranno fatto a realizzare questo trucco"? Le immagini di sintesi sembrano non avere un percorso di gestazione riportabile all'esperienza di tutti i giorni, per cui nel loro caso la risposta è: digitalmente. Cioè con un procedimento astratto, non palpabile, anche se alla base della simulazione digitale c'è - quasi sempre - un grosso lavoro su modelli reali. Lo spfx meccanico lavora invece sulla meraviglia della genesi attraverso materiali, magari non destinati originariamente allo scopo, ma piegati all'illusione, o sull'evocazione manuale di forme che esistono anche oltre la luce dello schermo, per esempio nello studio di qualche modellatore. Crash porta alla luce questo punto, in una tappa molto precisa nel percorso del cinema cronenberghiano, assimilando le ferite, le mutilazioni, gli scontri di macchine - realizzati con la sensuale, vividissima imprecisione dell'effetto speciale prostetico meccanico - direttamente al sesso e all'erotismo. Ancora iperreale e allucinatorio al tempo stesso, Crash si propone come summa assoluta dell'exploitation svelando la morbosità dell'illusione per quello che è: piacere puro, violento, gratuito e indispensabile.


Crash sex dummies
L'iperrealismo ricercato di Crash nella messa in scena di scontri e incidenti è una diretta parodia-evoluzione di quello spielbergiano che, molti anni prima, ha posto degli standard nella ripresa di automobili e strade. I particolari a tutto schermo che dettagliavano i corpi meccanici di Duel, le angolazioni di ripresa su automobili e occupanti imposte dalla visionarietà spielberghiana ricevono in Crash lo stesso trattamento dei corpi umani: degenerano nell'impurità, si svelano come il punto di vista di un narratore onniscente e lascivo, che flirta impossibilmente con la materia mostrata. Le gambe accavallate della vedova Helen Remington (Holly Hunter) riprese da un'inquadratura a picco fuori dal finestrino chiuso della macchina di James Ballard (James Spader) sono il riassunto della perversione dell'occhio che mette in scena esplicitamente (il particolare insistito è uno scoperto richiamo sessuale), con superiore coscienza linguistica (l'angolazione della ripresa è una rielaborazione dello stile "canonico" di inquadratura delle automobili di cui sopra, in direzione dell'evocazione erotica) e con un'attitudine che è insieme pornografica e distante. Lo stile cronenberghiano che fonde melò e lucidità di visione tenta qui l'impresa più ardua: attraverso il sesso inventato, crea una situazione sospesa in cui sono presenti insieme pornografia e distacco, passione e riflessione. Quando Catherine Ballard (Deborah Hunger) si fa sodomizzare dal marito chiedendogli i dettagli sul modo in cui a lui piacerebbe possedere Vaughan, assistiamo ad una scena spiazzante, sensuale e disgustosa al tempo stesso. L'atto fra uomo e donna e la sua rilettura immediata trasportata in un contesto altro (quello omosessuale) sono una specie di impossibile autoanalisi antitellettuale, un atto di pornografia riflessiva passionale e documentaristica. Sesso girato come un effetto speciale meccanico, nella cui finzione sta una grossa percentuale di fascino, "una benigna psicopatologia che ci chiama a sé", come sintetizza Vaughan a proposito delle sue pratiche di "crash sex dummie", di sperimentatore iperrealistico dei limiti dell'eccitazione sessuale raggiungibile attraverso l'incidente automobilistico.


Il cinema tattile
Oltre la fertilissima flora batterica di provocazioni tematiche che colonizza Crash (l'uguaglianza morte-arte-pornografia, l'incrocio inestricabile di traffico, teatro - nella messa in scena degli incidenti -, rito e leggenda, il desiderio di comprendere la sessualità dei morti/della morte che si sprigiona dagli incidenti come generatore di fertilità), lo sguardo di Cronenberg indugia paradossalmente, come sempre, su un altro senso: il tatto. Le ferite in Crash diventano textures grafiche da toccare, da esplorarsi a vicenda per gioco. Si confrontano con la stessa passione le aperture nella carne e quelle nella carrozzeria, saggiandone superficie e consistenza. Nella figura di Gabrielle (Rosanna Arquette) si riassumono tutte le aspirazioni sensitive del film: un corpo mutilato, prostetizzato e avvolto in un parziale esoscheletro che tenta, per un gioco sessuale, di incastrarsi in un veicolo che non è stato progettato per lui. Il tentativo di incastro erotico di Gabrielle nell'abitacolo della macchina, con la complicità del partner Ballard, porta alla scopertura di una cicatrice così profonda che sembra essere più che altro una saldatura nella carne. È il racconto di un impossibile sfregamento di superfici, l'evocazione abbagliante di un sistema tattile complessissimo che contrappone e integra pattern visivi e materiali, spingendosi oltre qualsiasi rappresentazione audiovisiva, per aspirare ad una sinestesia simulata che mira ad aggiungere al cinema la dimensione del tocco. Una simulazione che, in quanto tale, venga trasmessa solamente attraverso le modalità più classiche del mezzo: immagini e suoni. Ancora in un altro senso, Crash è il prototipo di un cinema completamente reinventato nel genre e nel gender. Una messa in scena che esplode radicalmente cercando di trasfigurarsi in esperienza oltre lo schermo.


Sorriso scritto per inciso
di Adriano Marenco

Ricamato
quel sorriso.
Quel sorriso
scivolato
piano, piano
fino in fondo
proprio dentro
il corpo
inciso, inciso
a fondo.
Quel sorriso ricucito.
Bordo di crostata bruciata.
Quel sorriso scivolato piano
quando il tempo si dilata
all’infinito
proprio un istante
prima dello schianto.
Quel sorriso di lamiera ripiegata.

Quel sorriso a sé stante.
Quel sorriso
raccontato per inciso
nelle gambe.
Quel sorriso
buccia di mela invecchiata.
Quel sorriso ferro e spago.
Con quel sorriso intorno
bionda sei uno schianto,
sei uno sballo,
con quello stampo
di metallo
nato dalle cosce
proprio
al centro delle cosce.
Un’apertura nuova
spalancata
alla nuova versione
della vita.

Il progresso è una ferita
che si fa strada,
strada da fare
a rotta di collo
fino a spezzarci il collo.
Magari contro quello schianto.

Lo schianto
mistica unione
di uomo
e progresso.

Lo schianto mastica insieme
uomo e progresso
acciaio e sesso.

Il progresso
si fa sesso
appena nato.

Dio è un meccanico
coperto di grasso.
Dio è uno stunt man
che nello schianto è sublimato.

Lo schianto è il suo amen.

Bionda sei uno schianto.
La bocca colma di sesso,
bionda tirata
a lucido
linda e levigata.
A parte quel sorriso
lamiera ripiegata.