Anche i dottori ce l'hanno

Welcome to a world of insanity
di Adriano Ercolani

 
  The Hospital, USA, 1971
di Arthur Hiller, con George C. Scott, Diana Rigg, Stephen Elliott, Andrew Duncan.

Quando ci troviamo a parlare della migliore commedia americana degli anni ‘60 e ‘70, “nipotina” sbarazzina e furbetta dei grandi maestri del periodo classico, il nome che più di frequente sentiamo citato è quello del commediografo Neil Simon, che con il suo humour urbano, tagliente e nevrotico ha imperversato anche sul grande schermo con adattamenti notevoli come La strana coppia, I ragazzi irresistibili, Goodbye, amore mio! o California suite, tanto per citare i titoli più conosciuti: personaggi dall’eloquio spigliato ed irriverente, dialoghi fulminanti, attori che hanno saputo dare il meglio di sé nell’interpretazione dell’uomo comune alle prese con le traversie della propria psiche e la confusione dei propri sentimenti - ed ecco che tornano alla mente Jack Lemmon, Walter Matthau, Richard Dreyfuss, Marsha Mason, ecc. Il grande successo di Neil Simon autore (e sceneggiatore) è probabilmente dovuto al suo essere un affettuoso specchio della frenesia irrazionale della società americana, capace di restituirne un’immagine leggermente acidognola, forse addirittura corrosiva, ma mai spietata o deformata in una visione altra, criptica, difficile da decodificare.
Oltre alla solare ed intellettuale comicità di Neil Simon dunque, a cui vogliamo accostare quella altrettanto “edificante” di Woody Allen e Mel Brooks, in quel periodo c’è stato anche chi invece ha tentato di analizzare l’american way of life in maniera più coraggiosa, sprezzante, addirittura ostile. L’esempio più calzante è stato a nostro avviso quello di Paddy Chayefsky, anch’esso commediografo e sceneggiatore, che nei suoi script per il cinema (soprattutto negli anni ‘70), ha immesso una vena grottesca e surreale in grado di gettare un’ombra irrazionale eppure plausibile all’interno di congegni perfettamente oliati, in cui melodramma esistenziale e commedia sofisticata si fondono in perfetta armonia. L’esempio forse più lampante è quello del magnifico Quinto potere di Lumet, satira nichilista e raggelante del mondo della comunicazione, in cui molti dei personaggi in scena abbandonano una razionalità sterile per passare ad abbracciare il caos, il delirio, la non-logica: la scena macabra e sontuosamente comica dell’incontro tra l’aspirante suicida anchorman Peter Finch e il pazzoide capo del network Ned Beatty è forse la scena che meglio rivela la capacità di Chayefsky di saper trovare nell’assurdo, nel grottesco la vera cifra per capire la realtà.
Ebbene, uno dei capolavori di sceneggiatura scritto dal sapido Paddy è stato The Hospital, opera clamorosa e inestricabile che purtroppo ai nostri giorni è stata quasi del tutto dimenticata. Diretto con audacia stilistica da Arthur Hiller, ed interpretata da un George C. Scott all’apice delle sue capacità, il film mescola con sfrontata coerenza storie e toni di racconto, seguendo la linea-guida della crisi esistenziale di un primario ormai vicino alla vecchiaia, che ha perso la fede in quello in cui più credeva, il suo lavoro e il luogo in cui esercitarlo, un fatiscente ospedale. Primari aspiranti suicidi, pazienti rovinati per caso, serial killer mandati da Dio, ragazze hippie: apparentemente impossibile pensare di trovare coerenza di racconto ed omogeneità narrativa in un simile vortice di figure; eppure a Chayefsky il miracolo riesce, eccome. Nella prima parte del film assistiamo poi ad una messa in scena che ci sorprende ed annichilisce: Arthur Hiller adopera infatti il piano sequenza in maniera sfrontata ed efficacissima, tratteggiando la solidità dei personaggi proprio nel lasciarli costruirsi all’interno dell’inquadratura. La m.d.p. segue, perciò, senza quasi mai staccare, dialoghi e situazioni che subito si rivelano differenti dai pur alti stilemi del cinema americano di quegli anni: all’interno di una messa in scena volta verso il realismo infatti ecco insinuarsi la piega del grottesco, dell’assurdo; e così le battute, le situazioni, i dialoghi taglienti assumono un’aura più cupa, macabra, ma assolutamente affascinante. Tentare di classificare The Hospital sotto un genere ben definito è praticamente impossibile, tanto il film riesce nella mescolanza di dramma e commedia amara, attraversando anche nella stessa scena un confine già di per sé labile. A contribuire poi in maniera determinante alla riuscita di questo geniale monstrum ci pensa poi Gorge C. Scott, attore di razza pura, molto spesso gigioneggiante fino all’istrionismo, ma in questo ruolo perfetto nel saper dosare mezzitondi a debordante vena creativa.
Insomma, Anche i dottori ce l’hanno - non lasciatevi fuorviare dalla solita cialtroneria di chi in Italia inventa titoli a casaccio - è un’oscura perla che deve essere assolutamente riscoperta, non fosse altro che per apprezzarne la comicità tagliente e nichilista, che fa di questo piccolo film un esempio lampante di come anche in America c’era chi sapeva scrivere grandi sceneggiature adoperando stili sempre pericolosi, come il grottesco.