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Heroes
id., Usa, 2006
creato da Tim Kring, con Hayden Panettiere, Jack Coleman, Masi Oka, Sendhil Ramamurthy, James Kyson Lee, Greg Grunberg

Salva la cheerleader, salva il mondo!
di Ilario Pieri



L’arte affabulatoria
Partendo da the Twilight Zone (la storica serie tv ideata da Rod Serling e firmata da Richard Matheson, Charles Beaumont e, occasionalmente, anche da talenti pressoché sconosciuti come Jerome Bixby) e passando per il fumetto Marvel, Heroes rappresenta la nuova frontiera del fantastico per ciò che concerne uomini con "abilità speciali" (non variopinte sentinelle inguainate in fastidiose calzamaglie), all’alba di un nuovo secolo post 9/11. Con la straripante accoglienza ottenuta da Lost, altro prodotto con non pochi debiti di formazione nei confronti dell’inossidabile programma succitato e, a seguito dell’investitura di J.J. Abrams e Damon Lindelof quali nuovi eredi "ai confini della realtà", ecco un’opera matura, intelligente e allo stesso tempo pop e tardo adolescenziale (in senso buono) . L’idea appartiene a quel limbo creativo offuscato da corsie ospedaliere, efferati crimini sparsi un po’ ovunque e inconsolabili casalinghe disperate. Le “abilità” alle quali fa riferimento Tim Kring (padre della serie) riguardano esseri comuni assopiti nel solito contesto ordinario (così come accadeva ai personaggi di Serling e soci). Le parole che Lindelof adotta per Lost potrebbero assumere un senso anche per Heroes, quando questi afferma che lo scopo dell’opera è quello di sezionare e mettere al microscopio i mostri che vivono dentro ai personaggi, in opposizione a tutto quello che si agita intorno a loro.

Di alieni, mutanti e uomini della strada
In tv, così come nei comics, le fabulae tendono a ripetersi, e allora poco importa se l’idea di base di questo prodotto sa di déja-vù; qualcosa di simile si è già visto nel fantascientifico 4400, altra novella su uomini comuni investiti da forze fuori dal comune. La precisazione è d’uopo perché la serie creata da Renè Echevarria e Scott Peters rientra nel genere science fiction alla Incontri ravvicinati del terzo tipo e X-Men. Il plot è più o meno il seguente: un numero di 4400 persone, precedentemente scomparse, si ritrovano sulle rive di un lago illesi e non invecchiati di un giorno. Essi scopriranno a poco a poco di essere strati rapiti da alieni del futuro e di aver acquisito brillanti facoltà allo scopo di migliorare il presente per impedire l’estinzione della razza umana. In Heroes invece l’assunto trae origine da una brillante scoperta in campo genetico da parte di uno scienziato di origine indiana, il quale individua in soggetti sparsi per il mondo, la razza futura (come dire la teoria evolutiva della specie di Charles Darwin riletta da Stan Lee, quasi a confondere nella stessa branca la scienza con la fantasia). Il plot vede un nugolo di individui alle prese con strani poteri, con i quali saranno costretti a convivere e a salvare il mondo. L’immagine pubblicitaria li ritrae sullo sfondo di un incrocio metropolitano, affiancati da semplici passanti dinanzi a loro quasi invisibili.

Mitologia pop
Di "nuvole parlanti" se ne avvistano non poche a cominciare da "9th Wonders" che non è solo il fumetto pubblicato dal pittore eroinomane Isaac, ma “è la storia stessa del telefilm sviluppata parallelamente al suo corso”; inoltre il buffo geek Hiro Nakamura cita palesemente "Uncanny X-Men" in un episodio. Nell’opera però non ci sono solo questi riferimenti (anche se all’ombra della prima stagione risulta molto rischioso addentarsi in un’analisi psicologica), ma si potrebbero fare alcune supposizioni sulla base del teorema persone come personaggi.
Di superproblemi questi nuovi paladini ne hanno eccome e non è certo un segreto se essi rispecchiano in tutto e per tutto le tragedie esistenziali della mitologia marveliana: Claire Bennet, la piccola e non tanto fragile cheerleader da salvare, rigenera i propri tessuti alla maniera del rabbioso Wolverine, nella maschera di Niki si nasconde la doppiezza di Jekyll e Hyde riletta dall’incredibile Hulk e dalla coppia indissolubile Jeanne Grey/Fenice, per non parlare dei voli più veloci della luce di Nathan non dissimili da Cannonball (X-Men) e così all’infinito. Non c’è dubbio altresì che i veri mattatori della serie siano Peter Petrelli e Gabriel (Sylar) Gray. Peter Petrelli è un infermiere di New York il quale decide di dedicarsi all’assistenza e alla cura dei più bisognosi, e in questa sua missione, è ostacolato dal pomposo ma fragile fratello Nathan candidato alla carica di governatore. Sylar è un ex orologiaio, ossessionato dalla precisione e dalla complessità di meccanismi perfetti; l’uomo misterioso, l’ambiguo villain, il quale in un episodio si mostra al pubblico con un teatrale inchino è ancora una figura da comics. Sarà un caso ma Peter Petrelli e Gabriel Gray sono gli unici del gruppo a portare (in modo evidente) nelle doppie iniziali dei propri nomi e cognomi l’identità dell’eroe (super), come accade per Peter Parker, Bruce Banner e via discorrendo. Restando in questo ambiente e giocando con fonti e ispirazioni si potrebbe addurre una bislacca teoria per guardare veramente questi heroes a novelli X-Men. Sylar chi potrebbe essere se non un Magneto, passato dal ruolo di vittima a quello di carnefice (l’olocausto patito dal capo dei mutanti e gli esperimenti da cavia sul Paziente Numero Zero). Va da sé che l’obiettivo di Magneto nel voler estirpare l’umanità per far posto alla razza mutante si rifrange nello strappare i poteri degli heroes per essere unico da parte di Sylar. Se questo fosse vero per certi versi Peter non potrebbe che incarnare (in prospettiva) la guida spirituale che è Xavier nella creatura di Lee e Kirby. In prospettiva perché questi, così come i suoi colleghi "miracolati", non è a conoscenza (almeno nei primi episodi) delle proprie abilità e di conseguenza non è in grado di controllarle.

Quando la TV non è solo spazzatura
Come per Lost così in questa e in altre fortunate serie, il destino di uno è il destino di tutti tanto che individui sparsi in ogni parte del mondo (appunto i passeggeri multietnici del volo maledetto franato sull’isola misteriosa) saranno costretti a metter da parte pregiudizi e rancori per portare a compimento uno scopo comune. Ha ragione Mario A. Rumor quando scrive che “qualcuno ha evocato William Shakespeare, più o meno dopo il trauma statunitense dell’11 settembre 2001, per ribadire che tutto si stabilisce in quattro paroline: “amore, odio, dolore e rabbia” ".

Testi e siti internet consultati
Mario A. Rumor, Created by. Il nuovo impero americano delle serie TV: Buffy, C.S.I., Alias e tutte le altre (Le virgole, Tunué, Latina 2005)

wikipedia.it