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24
id., Usa, 2001
creato da Joel Surnow e Robert Cochran, con Kiefer Sutherland, Dennis Hopper, Arnold Vosloo, Julian sands

Una giornata particolare
di Luca Di Natale



My name is Jack Bauer, and this is the longest day of my life”. Con queste parole, il 6 novembre 2001, in piena paranoia post 11 settembre, negli USA sul canale Fox è partita una delle serie televisive più innovative degli ultimi tempi. Creata da Joel Surnow e Robert Cochran, già responsabili della versione televisiva di Nikita, 24 narra le “giornate infernali” di Jack Bauer, agente del CTU (Counter-Terrorism Unit, Unità anti-terrorismo) di Los Angeles. Il titolo deriva dalla geniale trovata di far corrispondere ai 24 episodi di ogni stagione le 24 ore delle suddette giornate. Ogni episodio, quindi, dura un’ora (o meglio, circa 40-45 minuti, che diventano 1 ora con gli inserti pubblicitari, almeno questo nella trasmissione USA). Se la stagione inizia alla mezzanotte di un particolare giorno, proseguirà con episodi che narrano le vicende che accadono di ora in ora, fino a giungere all’ultimo episodio che termina alla mezzanotte del giorno successivo. Altra caratteristica della serie è il forte uso dello split-screen, ovvero la tecnica di suddividere lo schermo in più riquadri per mostrare diverse azioni, avvenimenti che accadono in contemporanea per poi concentrarsi su uno di essi. Inoltre si fa notevole ricorso alla telecamera a spalla, che aggiunge un senso di “realtà” alla narrazione, consentendo di sentirsi “dentro” la scena, specialmente durante le sequenze d’azione. La narrazione degli eventi è scandita dallo scorrere del tempo, rappresentato da un orologio digitale che appare in sovrimpressione ogni tanto e che indica l’esatta collocazione dell’avvenimento nel corso della giornata. Lo stesso orologio appare in grande, al centro dello schermo su sfondo nero al termine di ognuno dei quattro canonici atti che compongono l’episodio e serve, sempre parlando per la trasmissione USA, per l’inserimento delle interruzioni pubblicitarie. Al rientro, infatti, si scopre che sono passati alcuni minuti e la trama ricomincia con lo split-screen di cui dicevamo prima: i secondi scorrono, appaiono i fotogrammi, scanditi dal “rumore del tempo” che passa, effetto sonoro particolare (denominato “Clock Counter Click” ) diventato un po’ il marchio della serie. Ogni episodio, ovviamente, termina con un forte cliffhanger che invita a sintonizzarsi sull’episodio successivo. In questa ottica è deleteria la visione in DVD: avendo a disposizione l’intera stagione, è difficile scollarsi dagli episodi. Le stagioni non sono consequenziali, nel senso che la stagione 2 si svolge 18 mesi dopo la prima, la terza addirittura 3 anni dopo la seconda, la quarta ancora 18 mesi dopo la terza e la quinta altri 18 mesi dopo la quarta. Con questo espediente, viene aggiunta la curiosità di sapere cosa è successo ai personaggi in quel lasso di tempo, curiosità che viene solo in parte appagata nel corso degli episodi.
Parliamo del protagonista, Jack Bauer, efficacemente interpretato da un rinato (proprio grazie a questo serial) Kiefer Sutherland. All’inizio della serie lo troviamo tranquillamente in casa, forse dopo una giornata lavorativa, insieme alla moglie e alla figlia. Si capisce immediatamente che la famiglia ha avuto dei problemi, probabilmente causati dal lavoro di Jack, ma che stanno cercando di superarli. Bisogna dire che appare immediatamente evidente che entrambe le donne sono un po’ una palla al piede per il protagonista, non tanto per il fatto che, come facilmente prevedibile, diverranno ostaggi dei cattivi, quanto perché sembrano essere ciò di cui un eroe ha meno bisogno, ovvero un freno, la preoccupazione che occupa la mente di Jack. Un eroe non può avere legami, àncore che lo fermino, specie se costretto a confrontarsi con minacce terroristiche di grandi dimensioni (l’attentato alla vita del candidato alle presidenziali nella stagione 1, la minaccia di un attacco nucleare a Los Angeles nella 2, un virus mortale nella 3, cellule terroristiche in azione sul suolo americano nella 4, complotti ad alto livello tesi a destabilizzare la sicurezza nazionale nella 5) e per questo motivo gli autori hanno, intelligentemente, fatto fuori la moglie alla fine della stagione 1, tentato di far diventare la figlia una tosta agente del CTU, per poi mandarla a vivere altrove (fuori dalla serie) alla fine della quarta stagione, quando Jack dovrà fingersi morto per evitare la cattura da parte della Cina, il cui console è rimasto ucciso durante un’azione voluta e capeggiata dallo stesso protagonista all’interno dell’ambasciata. Jack non è un eroe positivo, o meglio non lo è del tutto: per raggiungere i suoi scopi, ovvero la riuscita delle missioni, non esita a torturare o uccidere quelli che cattura. Questo particolare ha sempre suscitato molte polemiche negli USA, dove gli eroi devono essere necessariamente senza macchia, puri. Jack non è così, forse memore (insieme ai suoi autori) del detto di “startrekkiana” memoria che “le esigenze di molti contano più di quelle di pochi o di uno”. Non si contano, in tal senso, le volte in cui abbia ucciso terroristi, ferito testimoni delle sue azioni, torturato uomini o donne in possesso di informazioni utili alla risoluzione del caso. Forse per mitigare questo aspetto un po’ crudo, ma realistico a mio parere, del personaggio, gli autori concedono ogni tanto una breve sequenza in cui Jack si lascia andare a rimorsi o pentimenti, ma sono sempre poca cosa. Attorno a lui ruota una serie di personaggi più o meno fissi, che vanno dai colleghi del CTU ad esponenti del governo o delle forze militari. Con questi personaggi Jack entra spesso in conflitto sui metodi da adottare, anche se può contare su alcuni fedelissimi pronti a dargli man forte in ogni momento, citandoli a caso Tony Almeida o Chloe O’Brian o Nina Myers per il CTU, il senatore poi presidente David Palmer e il suo consigliere Mike Novick per il governo e così via. Attenzione, però, a non fare l’errore di affezionarsi troppo a questi personaggi. Se Jack, essendo il protagonista, non può morire, nonostante le situazioni limite in cui viene a trovarsi, per gli altri non c’è alcuna sicurezza. Seguendo una moda molto in vigore negli ultimi anni nei serial USA (Lost docet, in questo senso, ma ricordiamo anche la nuova incarnazione di Battlestar Galactica o, anche se in misura minore, Stargate Atlantis) le figure di contorno sono in balia del destino, ovvero della volontà degli autori di stupire il pubblico. Emblematiche in questo senso, la scoperta che la talpa all’interno del CTU nella prima stagione è proprio Nina Myers, inizialmente collaboratrice fedelissima di Jack e forse sua amante, o la “mattanza” di personaggi operata all’inizio della stagione 5.
Un’ultima particolarità della serie su cui è utile soffermarsi è che essendo ogni episodio pieno di personaggi, è facile incontrare volti più o meno noti della TV americana, ma i cattivi, le menti dietro i complotti, hanno sempre interpreti facilmente riconoscibili: nella prima stagione, ad esempio, Victor Drazen ha la faccia del grande Dennis Hopper, nella quarta Habib Marwan quella di Arnold “La Mummia” Vosloo, nella quinta Vladimir Bierko è Julian Sands, forse tutti presi dal perverso meccanismo secondo il quale, quando la carriera cinematografica subisce uno stop, c’è sempre il piccolo schermo pronto ad accoglierti.
Citazione d’obbligo, infine, per uno degli elementi fondamentali alla riuscita della serie (oltre ovviamente la scrittura e la regia e la recitazione...), ovvero le musiche che accompagnano le varie sequenze. Opera dell’americano Sean Callery, si distinguono per la fusione degli strumenti musicali a sofisticati effetti sonori (ad esempio, il già citato “Clock Counter Tick”) creati attraverso elaborazioni al computer e sono valse al suo autore due Emmy Awards, nel 2003 e nel 2006.